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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca Via Brenta

Via Brenta, la Procura presenta il "conto": chiesti 16 anni di carcere

Oggi la requisitoria del procuratore aggiunto De Donno. Le pene superiori richieste per Buonerba e Naccarelli. Ma il colpo di scena è arrivato dal legale del Comune, che ha ipotizzato la riqualificazione del reato in peculato

LECCE – Volge alle battute finali il processo sui palazzi di via Brenta, un caso politico e giudiziario che continua a dividere l’opinione pubblica e a contrapporre schieramenti e partiti. Si tratta, infatti, di uno dei processi più controversi della storia recente del capoluogo salentino, in cui la stessa amministrazione comunale, guidata dal sindaco Paolo Perrone e assistita dall’avvocato Andrea Sambati, si è già costituita come parte civile nei confronti degli imputati, tra cui alcuni degli ex uomini di fiducia dell’allora sindaco Adriana Poli Bortone.

Tra loro, infatti, Massimo Buonerba, l'ex consulente legale della Poli; Ennio De Leo, ex assessore al Bilancio del Comune di Lecce, e Giuseppe Naccarelli, ex dirigente del servizio finanziario del Comune di Lecce. Oltre a Buonerba, De Leo e Naccarelli, gli altri imputati sono Pietro Guagnano, legale rappresentante della Socoge; Maurizio Ricercato; Piergiorgio Solombrino, ex dirigente dell'ufficio tecnico, e Roberto Brunetti, tecnico dell'ufficio Patrimonio di Palazzo Carafa. Per loro il reato ipotizzato, a vario titolo, è di falso e truffa ai danni dello Stato.

Oggi, in aula gremita di giudici, avvocati, imputati, giornalisti e semplici spettatori, il procuratore aggiunto Antonio De Donno ha presentato il “conto” per la presunta truffa legata all’affaire dei palazzi di via Brenta, sede del polo civile della giustizia salentina. Tre anni (più mille euro di multa) la richiesta dell’accusa per Buonerba e Naccarelli; due anni (più mille euro di multa) per De Leo, Guagnano, Ricercato, Solombrino e Roberto Brunetti. Nella sua lunga e articolata requisitoria il pubblico ministero ha ricostruito, attraverso date, delibere, documenti e testimonianze, i vari passaggi che hanno portato alla stipulazione del contratto di leasing per gli immobili da parte del Comune di Lecce. Una procedura che avrebbe, secondo l’ipotesi accusatoria, dannosa e inopportuna per le casse comunali.

Il Comune, come detto, si è già costituito parte civile in “considerazione del fatto che i reati commessi dagli stessi hanno recato gravi ed ingenti danni al Comune” e che pertanto occorre “concorrere alla affermazione di responsabilità degli imputati e ottenere il risarcimento dei danni subiti”, quantificati provvisoriamente in due milioni e mezzo di euro, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

Massimo Buonerba-4-11Proprio dal legale del Comune, l’avvocato Andrea Sambati, è arrivato l’ennesimo colpo di scena legato all’inchiesta. La parte civile, infatti, ha ipotizzato un’eventuale riqualificazione giuridica del reato: da truffa ai danni dello Stato a peculato. Un’ipotesi che sarà eventualmente discussa, nel contradditorio delle parti, nella prossima udienza, fissata per il primo marzo.

Secondo quanto ipotizzato dall'accusa (inizialmente il sostituto procuratore Imerio Tramis e successivamente il procuratore aggiunto Antonio De Donno), la truffa sarebbe stata ordita al fine di agevolare la Socoge, proprietaria degli immobili di via Brenta.

ennio_de_leo-3Questa ha poi venduto i due complessi alla società Selmabipiemme, che li ha poi ceduti in leasing al Comune di Lecce. Le due società si sarebbero accordate per stipulare un contratto di leasing ben più oneroso del valore reale, proprio in previsione che il Comune subentrasse alla Socoge e dunque ne ereditasse le condizioni svantaggiose. Un contratto di leasing che impegnò l'amministrazione leccese a versare due milioni e mezzo di euro all'anno per 20 anni, oltre ad un riscatto di 14 milioni di euro. Nel mezzo cifre gonfiate e atti falsificati, tutto – secondo l'accusa – a scapito del Comune e di un danno patrimoniale di milioni di euro.

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