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Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca

Fra la pandemia, i nuovi assetti e gli emergenti: così cambia il volto della Scu

La relazione della Dia sul primo semestre del 2020: l'operazione "Final Blow", che segna l'ascesa del clan Pepe, già un pezzo di storia della lotta al crimine organizzato. E quello sguardo sempre più penetrante verso le attività lecite

LECCE – Cambiano gli assetti e nascono nuove alleanze, qualche sodalizio che un tempo sembrava granitico perde terreno, altri mantengono salde le redini riuscendo a riconvertirsi e a insinuarsi fra le maglie dell’economia legale, ma anche i più resistenti clan della Sacra corona unita devono fare i conti con la pandemia. E con i clan, gli stessi analisti del mondo criminale che sono oggi più che mai guardinghi nel delineare gli sviluppi futuri sul territorio.

Se le forze di polizia e la magistratura continuano a sferrare attacchi frontali che contengono le mire espansionistiche delle consorterie più tenaci, è vero anche che in questo momento storico “la disarticolazione dei vertici dei clan […] ha determinato un improvviso vuoto nel sodalizio le cui conseguenze, complice il lockdown, al momento non sono ancora compiutamente valutabili”.

Il riferimento, nel caso specifico, che si può leggere in un passaggio della relazione semestrale al Parlamento della Direzione investigativa antimafia nel capitolo dedicato alla provincia di Lecce, è all’operazione “Final Blow”. In realtà, è una considerazione che si può estendere all’intero “comparto” della criminalità organizzata: materia mai così fluida come oggi. Anche se una cosa è certa: nemmeno un virus così nefasto per la popolazione globale potrà scardinare il fenomeno. Semmai, potrebbero emergere nuove figure e interessi illeciti da coltivare.

L’analisi, come sempre, riguarda il primo semestre dell’anno appena trascorso, quindi il periodo in su cui si posa la lente della Dia è quello che va da gennaio a giugno del 2020, in cui ricade tutta la parentesi delle misure contenitive più dure per frenare l’avanzata del Covid-19. E pensare che a febbraio dell’anno scorso, quando la Squadra mobile chiudeva il cerchio su “Final Blow”, con 72 ordinanze, il nuovo ceppo di coronavirus era ancora un enigma all’orizzonte.

"Final Blow", un'inchiesta che è già storia

Quell’operazione è già uscita dalla cronaca per diventare un pezzo di storia, uno dei capisaldi nella lotta al malaffare, perché ha spezzato di netto equilibri che si erano consolidati negli anni fra i due clan egemoni del capoluogo, i Pepe e i Briganti, “la cui intesa criminale è appoggiata dai Tornese di Monteroni di Lecce”, si legge nella relazione. Un’ombra, quella dei Tornese, che non scompare mai. Ma su una cosa sembrano certi gli analisti della Dia: ridimensionato è uscito il gruppo che ruota attorno ai Briganti, con l’emergere sempre più prepotente dei Pepe “mediante l’esercizio di una supremazia riconosciuta anche da gruppi operanti nelle province limitrofe”.

Gli investigatori hanno messo in luce la prevalenza di un gruppo capace di intessere rapporti d’affari anche in altre fette del territorio, come nel basso Salento con i De Paola (area Acquarica-Presicce) e persino oltre il confine del Leccese: un nome su tutti, quello della compagine brindisina dei Martena. Insomma, i Pepe sarebbero stati i “principali interlocutori per la gestione delle relazioni criminali tra le due province”. Una tale potenza, quella dei Pepe, da arrivare a organizzare anche summit per “delineare le strategie operative, compresa quella di preservare in tutti i territori - incluse le zone non direttamente soggette al controllo del clan - la cosiddetta pax mafiosa volta a garantire ai diversi gruppi l’esercizio pacifico delle attività illecite nei rispettivi territori di competenza mediante l'integrazione tra i capi di nuova generazione e gli esponenti della vecchia guardia della Sacra corona unita”.

Un passaggio appare significativo, con citazione di parole del procuratore distrettuale Leonardo Leone De Castris riguardo all’incessante lavoro di diplomazia di alcuni personaggi di spicco, abili nella risoluzione dei conflitti per “assicurare il migliore andamento degli affari illeciti”. “La presenza e la piena operatività sul territorio di tali soggetti rappresenta la continuità nel tempo dell’organizzazione mafiosa e tenta in qualche modo di limitare, sinora con apprezzabile successo – aggiunge Leone De Castris -, quelle che sono le spinte dei componenti più giovani dell’organizzazione, troppo spesso portati a emulare modelli resi famosi anche grazie ai successi di serie televisive aventi ad oggetto fenomeni criminali imperanti su altri territori”. Come dire: il raziocinio per mantenere gli equilibri e gli affari in salute, davanti alla fascinazione perversa che possono esercitare persino alcune fiction nelle menti più giovani e, quindi, permeabili, laddove per esigenze di spettacolarizzazione si arriva sempre alle estreme conseguenze. Spesso fino a un punto di non ritorno.  

Estorsioni e droga. Ma anche l'occhio verso il commercio 

Quanto alle attività esercitate, dalle più tradizionali, come estorsioni e il sempre remunerativo traffico di droga, si arriva fino alle scommesse clandestine, che nel panorama rappresentano magari non proprio una novità, ma di sicuro un aspetto più recente. E con gli occhi sempre puntati verso settori commerciali e imprenditoriali leciti, per “ripulire” i soldi sporchi. Una riprova ulteriore, secondo la Dia, dell’evoluzione delle attività criminali in forma imprenditoriale, funzionale al processo d’infiltrazione del tessuto economico. La conferma, in alcune interdittive antimafia tra i mesi e aprile 2020.

È stata un’operazione di tale vastità, quella scaturita dall’inchiesta “Final Blow”, da incidere non solo su Lecce, ma, estendendosi a raggiera, anche su altri versanti: il nord Salento, le marine di Melendugno, persino aree quali quelle di Nardò e Gallipoli, “dove il clan legato ai Pepe aveva ormai da tempo allungato il proprio controllo sia per le piazze di spaccio che per alcuni servizi connessi con la movida e il turismo”.

Andando a osservare ai movimenti in provincia, si torna poi inevitabilmente a parlare del business legato ai giochi, specie quando si arriva ad analizzare uno dei clan più longevi, quello di Coluccia di Noha di Galatina. Le inchieste degli ultimi anni l’avranno pure indebolito, di mezzo anche le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, ma in qualche modo continua a tenere la rotta, guardando proprio all’economia legale. “È del 22 gennaio 2020 – ricorda la relazione della Dia - l’inchiesta “Dirty slot”, conclusa dalla Guardia di finanza di Lecce, che ha individuato un sistema economico illecito dei gaming avente a oggetto l’organizzazione e la gestione del gioco d’azzardo anche a distanza. Secondo quanto emerso dall’operazione, il sodalizio, legato non solo ai Coluccia, ma anche ad alcune frange brindisine della Sacra corona unita, gestiva un enorme giro d’affari nel settore delle slot e nella raccolta di scommesse di eventi sportivi fatte confluire sulle piattaforme informatiche di bookmaker esteri privi di concessione statale”. Con il trasferimento del denaro presso conti correnti accesi in alcune banche della Repubblica di San Marino. E anche in questo caso, sono scattate diverse interdittive.

Rilevanti sono ritenute, in tal senso, alcune riflessioni del questore di Lecce, Andrea Valentino: “È importante, in prospettiva, porre attenzione in modo costante all’ambito aziendale e commerciale della provincia, ovviamente interessato dalle ripercussioni determinate dall'adozione dei provvedimenti governativi per fronteggiare l’emergenza Covid-l9. È fondamentale monitorare continuamente la situazione, non solo sviluppando al massimo l’attività informativa, soprattutto tenendo contatti con le associazioni di categoria, ma anche elaborando ogni possibile notizia che dovesse emergere dalle abituali attività investigative, in modo da poter cogliere immediatamente quei cambiamenti o altri alert che possono celare interventi della criminalità organizzata pronta a cogliere le difficoltà del momento di imprenditori e commercianti”.

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Vi è poi la vicinanza annotata sempre più spesso, negli ultimi anni, ad ambienti della pubblica amministrazione. Ancora una volta, il procuratore distrettuale Leone De Castris fornisce una sintesi esaustiva del momento storico, evidenziando come, da un lato, i sodalizi ricorrano ad “affiliazioni e rituali verso gli strati più umili e giovani della popolazione, dall’altro stringono accordi con il mondo dell’imprenditoria, della politica e delle professioni venendo ricambiati dalla parte meno sana di tali ambienti, facilmente affascinati, al di là di un diffuso atteggiamento culturale di indulgenza, dalla possibilità di avvalersi dei servizi dell’organizzazione mafiosa per resistere alla forte crisi economica indotta da ragioni di mercato, da catastrofi naturali (vedi epidemia di Xylella) e oggi dalla pandemia da Covid-19; il complesso di queste circostanze è oggi in grado di portare ad un pericoloso ampliamento della cosiddetta zona grigia”.

E ancora, è “fonte di preoccupazione e di costante attenzione investigativa la constatata diffusione sul territorio di iniziative di vari candidati ad elezioni amministrative volte a contattare i locali esponenti della criminalità organizzata per ottenere dagli stessi sostegno elettorale; invero tale pratica, che costituisce certamente un vulnus ai principi costituzionali di diritto e partecipazione del cittadino alla vita democratica, è purtroppo risultata talmente diffusa, in capo ad alcuni candidati nelle passate tornate elettorali, da non risultare neppure pienamente compresa nel suo pieno disvalore morale oltre che penale”.

"Tornado" e le implicazioni in politica

A titolo di esempio, e di conferma, nella relazione della Dia, nel paragrafo sugli intrecci fra malavita e cosa pubblica, si cita lo scioglimento del Comune di Scorrano del 20 gennaio 2020, viste forme di ingerenze da parte del clan Amato (a sua volta riconducibile al clan Tornese), che avrebbero compromesso l’imparzialità dell’attività. Ad aprire uno squarcio nel sistema, l’inchiesta “Tornado” coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Lecce e conclusa dai carabinieri il 24 giugno del 2019. Proprio oggi, ironia della sorte, nel giorno di pubblicazione della relazione della Dia, anche il verdetto a carico di trentuno imputati che hanno scelto il rito abbreviato, fra cui i presunti capi, Giuseppe Amato, alias “Padreterno”, e il figlio Francesco.  

Nell’area fra Nardò e Galatone, rileva ancora la Dia, risulta l’influenza di alcuni soggetti che si porrebbero in linea di continuità con i boss ergastolani storici dell’area, specie sul mercato delle sostanze stupefacenti e sul racket estorsivo, soprattutto nelle marine. Mentre nella zona di Casarano, le note, cruente ostilità degli ultimi anni, agguati in cui si è versato molto sangue, hanno condotto a una frammentazione “tra più gruppi composti da ex appartenenti al clan Potenza-Montedoro tuttora in lotta tra loro per l’egemonia sul territorio”.

Ultima considerazione: sebbene le restrizioni dovute alla pandemia potrebbero aver posto qualche argine involontario, la droga continua a rappresentare per il Salento il mercato più florido per le organizzazioni criminali che preservano i rapporti consolidati nel tempo con narcotrafficanti albanesi. E nemmeno lo sfruttamento dell’immigrazione clandestina si ferma del tutto. Per alcune organizzazioni criminali transnazionali il Salento è ormai tappa fissa, nell’ultimo tratto di itinerari, quelli da sponde greche e turche, che partono da molto più lontano. Potenti gommoni o, sempre più spesso, barche a vela, i natanti impiegati. “Luogo di approdo d’elezione degli scafisti – conclude la relazione - è la costa del basso Adriatico, segnatamente il litorale che da San Cataldo si estende fino Santa Maria di Leuca con saltuari sbarchi sulle coste Joniche”.

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