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Cronaca

In sei tentano una rivolta in carcere. Isolati, distruggono arredi e minacciano agenti

La polizia penitenziaria ha sedato i facinorosi, tutti tarantini, senza usare la forza, anche perché la sedizione non ha trovato sponda in altri detenuti e questo ha permesso di evitare che la situazione finisse del tutto fuori controllo. Diciotto ore di fila di lavoro per arrivare poi a trasferirli

LECCE – Sei detenuti, tutti di Taranto, hanno inscenato una rivolta nel carcere di Borgo San Nicola, a Lecce. Una situazione molto spinosa, che non solo ha esposto il personale a ovvi rischi, ma che l’ha anche obbligato a tour de force di diciotto ore di fila, prima per bloccare i facinorosi e poi per trasferirli altrove.

Anche perché i sei avrebbero continuato a dar sfogo della loro rabbia, per motivi futili (pù che altro, sembra che sia stato tentativo di mettere in atto una dominio territoriale) persino una volta posti in isolamento, sfasciando tutto e minacciando gli agenti. Insomma, una situazione fuori controllo con il rischio di future rappresaglie, anche pesanti. 

Il fatto è avvenuto nella quarta sezione del primo reparto di reclusione. E’ andato però a vuoto il tentativo dei tarantini di coinvolgere altre persone recluse nella stessa sezione e questo ha consentito di evitare che la situazione degenerasse. Gli agenti di polizia penitenziaria, però, hanno vissuto momenti di forte tensione, specie all’inizio della sedizione, quando la situazione era fluida e non si sapeva quale piega avrebbe potuto assumere.

Tutto s’è risolto separandoli, dunque, e, in seguito dislocandoli in altre carceri di Puglia. La vicenda è rimasta in sordina giorni fino a ora, per ragioni di sicurezza. E anche perché solo nelle ultime ore s’è realmente risolto tutto. Il tumulto risale, infatti, alla giornata di martedì, e a rilanciare la vicenda all’attenzione dell’opinione pubblica è oggi Ruggiero Damato, segretario provinciale dell’Osapp, una delle sigle sindacali di rappresentanza della polizia penitenziaria.  

La storia riporta in auge il problema della vigilanza dinamica. Con le celle aperte, sale il rischio di aggressioni o, come in questo caso, di tentativi di rivolta. A Lecce nelle scorse settimane non sono mancati episodi gravi, in qualche caso con agenti feriti.

I sei tarantini, fortunatamente, non hanno trovato sponda negli altri detenuti e, senza usare la forza, il personale in servizio in quel momento è riuscito a sciogliere il gruppo. I detenuti sono poi stati trasferiti nelle celle d’isolamento per essere sottoposti al consiglio di disciplina. Per tutta risposta, nelle rispettive stanze hanno distrutto coperte, lenzuola e arredi, minacciando i loro controllori. Da qui la decisione finale di trasferirli in vari istituti della regione nel primo pomeriggio di ieri, fra Trani, Turi e Foggia, in modo da dividerli e soffocare nuove ribellioni.

“Senza usare la forza, una decina di agenti sono stati costretti a lavorare per diciotto ore di fila, con tre mezzi per le traduzioni dei detenuti, per il trasferimento presso altri istituti regionali, in modo da isolarli e garantire l’ordine e la sicurezza dell’intero istituto, turbato da tale evento”, spiega Damato, congratulandosi peraltro con la direzione del carcere “per la celerità dell’intervento”, oltre che con “tutti gli uomini e donne della polizia penitenziaria per l’attaccamento al servizio e alla dedizione dimostrata”.  

Ai primi di marzo due poliziotti hanno subito aggressioni nel carcere di Lecce e solo pochi giorni addietro lo stesso Damato aveva convocato una conferenza per annunciare la presentazione di un dossier sulla sicurezza da consegnare nelle mani del premier Matteo Renzi. La situazione in Puglia non è incoraggiante e l’Osapp l’ha già detto in più occasioni: gli agenti si sentono scarsamente tutelati dallo Stato.

"Non è la prima la volta che il carcere di Lecce diventa palcoscenico di consimili situazioni di grave disagio e rischio - dichiara intanto il segretario generale dell'Osapp, Leo Beneduci - ma, a parte le indubbie responsabilità di carattere organizzativo della locale direzione e del provveditore regionale Giuseppe Martone per quanto riguarda una puntuale valutazione del livello di pericolosità di particolari soggetti detenuti, occorre non dimenticare che l'Italia penitenziaria ritorna a fare acqua da tutte le parti in particolar modo rispetto ai rischi a cui il personale di polizia penitenziaria è sottoposto quotidianamente".

"Non può quindi sottacersi - conclude Beneduci - che sussiste l'esigenza sempre più urgente che il dormiente ministro Andrea Orlando, almeno per ciò che riguarda le condizioni del sistema penitenziario, disponga finalmente per i necessari provvedimenti intesi a una completa riorganizzazione del carcere e della polizia penitenziaria che vi opera anche in relazione a progetti che vedano il Corpo staccarsi finalmente dall'inetta amministrazione penitenziaria per assumere in toto le incombenze di carattere organizzativo e gestionale".

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