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Cronaca

Traffici di cocaina, legami con le 'ndrine: indagati i fratelli leccesi Penza

Già condannati per "Final Blow", sono finiti ora anche nell'inchiesta del Gico della finanza di Catanzaro. Nella retata, 57 arresti. Il maggiore dei due è ritenuto un emergente di spicco nel Leccese

LECCE – Entrambi sono stati condannati proprio di recente in primo grado, con rito abbreviato, nell’ambito del processo scaturito dall’operazione “Final Blow” condotta dalla squadra mobile di Lecce incentrata sulle attività della criminalità organizzata fra capoluogo e dintorni. E, ora, si trovano invischiati una nuova inchiesta, questa volta partita dalla Calabria.

Si tratta dei fratelli leccesi Antonio Marco e Vito Penza, il primo 37enne, il secondo 34enne, i cui nomi sono finiti nell’operazione “Crypto” portata a segno all’alba di oggi dai finanzieri del comando provinciale di Catanzaro e del servizio centrale investigazione criminalità organizzata della guardia di finanza di Roma, sotto il coordinamento della Dda di Reggio Calabria. Per il maggiore dei due è scattata l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, mentre il secondo è indagato formalmente a piede libero.

Sono 93, in tutto, i coinvolti nell’indagine, in varie parti d’Italia, e per 57 di loro sono stati disposti arresti in carcere o ai domiciliari. Al centro di tutto, i lucrosi affari derivanti dall’importazione di cocaina dal Nord-Europa e dalla Spagna, poi smistati in varie regioni, fra cui la Puglia (oltre ai fratelli Penza per Lecce, altri due indagati sono rispettivamente delle province di Bari e Taranto). Nel corso del blitz, sono stati sequestrati anche beni per oltre 3,7 milioni di euro.

L’operazione “Crypto” nasce da un’inchiesta precedente, sempre dei finanzieri del Gico di Catanzaro, ribattezzata “Gerry”, che nella primavera del 2017 permise di sgominare un sodalizio facente capo alle ‘ndrine Molé-Piromalli di Gioia Tauro e Pesce-Bellocco di Rosarno. E nella vicenda odierna, la lente s’è soffermata su esponenti che fanno capo sempre alla ‘ndrina Pesce-Bellocco e riconducibili nello specifico alle famiglie Cacciola-Certo-Pronestì.

Sarebbero stati loro a pianificare importazioni di grossi quantitativi di cocaina da Olanda, Germania, Belgio e Spagna, per poi piazzarla in Lombardia, Piemonte, Lazio, Campania, Sicilia, Emilia Romagna nella stessa Calabria, in Puglia e persino all’estero (in particolare a Malta), usando una vera e propria flotta di mezzi. Lo stupefacente, trasportato fino a Rosarno usando doppifondi nei veicoli, in seguito sarebbe dunque stato smistato sulle altre piazze italiane. Si può quindi ipotizzare che i Penza fossero fra i vari terminali di quest’enorme ramificazione.    

Le indagini patrimoniali hanno consentito di emettere un sequestro preventivo d’urgenza di beni per oltre 3,7 milioni di euro, costituito da fabbricati, società e complessi aziendali, automezzi e numerosi rapporti bancari e finanziari, in Calabria, Calabria, Sicilia, Puglia, Emilia Romagna, Lombardia e Piemonte.

I fratelli Penza e l'ascesa su Lecce

Per inquadrare i fratelli Penza e la loro ascesa, bisogna fare un piccolo passo indietro nel tempo. Nel processo tenutosi a giugno e riguardante la già citata operazione “Final Blow”, Antonio Marco Penza è stato condannato a 20 anni di reclusione, mentre Vito a “soli” 8 anni e 8 mesi.

Per gli inquirenti salentini, il primo in particolare sarebbe stato ai vertici dell’organizzione criminale, al pari di personaggi storici del calibro di Pasquale Briganti e Cristian Pepe. Proprio Antonio Marco Penza, figura emergente nel panorama locale, fin quando in libertà, sarebbe stato fra coloro in grado di consentire che l’egemonia di Cristian Pepe, da tempo in carcere, continuasse a perpetuarsi su Lecce e tutto il territorio d’influenza del clan. Tentacoli sul territorio mozzati dalla scure di una delle più vaste operazioni nel capoluogo salentino degli ultimi anni, scoccata all'alba del 26 febbraio del 2020.   

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