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Venerdì, 29 Marzo 2024
Una rete capillare e collaudata

Quattro boss, un esercito di scafisti e un fiume di denaro: così gestivano i traffici

Tre iracheni e un siriano muovevano i fili di tutto. Il più potente agiva dalla Turchia. Poi c'erano la cellula albanese e le due italiane. Uno, da Bari, recuperava da Salento e Calabria i conduttori di barche, favorendone la fuga. Un altro, da Venezia, favoriva l'ingresso di migranti nel nord Europa

LECCE – Alaa Qasim Rahima, 38 anni, iracheno, abita a Fossalta di Piave, in provincia di Venezia. Lo chiamano “Abu al Hawl” e per omaggio alla sua notevole influenza, nelle conversazioni intercettate, qualcuno suggerisce di rivolgersi al suo cospetto con il titolo di “Re dell’Italia” (oppure “delle auto”, vista la capacità infinita di reperire veicoli). Poi c’è Majid Muhamad, 52enne, anch’egli iracheno e residente in Italia. A Bari, per la precisione. Uno con le mani in pasta ovunque, che saprebbe nascondere i suoi uomini per giorni dopo averli recuperati in mezzo Sud Italia e farli rientrare in patria usando ogni mezzo possibile. Obiettivo: rimetterli a breve nel giro.

Segue Sultan Ahmed, 23enne, siriano. Entrato di soppiatto e di soppiatto rimasto in Albania, nonostante la giovane età, gestirebbe già lucrosi traffici da una nazione all’altra. Last but not least, Awat Abdalrahman Rahim Rahim. Ha 47 anni, è iracheno e vive in Turchia. È il più sfuggente di tutti e, forse, uno dei più influenti in assoluto sullo scenario europeo, potendo contare proprio sul fatto di osservare la mappa da una posizione strategica.

Un giro d’affari enorme, con scafisti “professionisti”

I loro, quattro nomi che ai più potrebbero non dire nulla, che domani saranno magari già dimenticati e per ricordare i quali sarà necessario rileggere l’articolo. Eppure, quattro nomi che sarebbero da tenere molto bene a mente perché, stando alle indagini eseguite in un intenso anno di lavoro dal Gico di Lecce, il Gruppo d’investigazione sulla criminalità organizzata della guardia di finanza, sarebbero i burattinai che fino solo pochi giorni addietro muovevano i fili di una delle fette più sostanziose del traffico di migranti nel Mediterraneo, quella che, partendo dalla rotta balcanica, conduce verso le coste salentine e calabresi.

Le immagini della conferenza svoltasi a Lecce

Un giro d’affari enorme, per milioni di euro. Una rete composta da una folta schiera di sodali, ivi compreso un piccolo esercito di fiancheggiatori e, soprattutto, scafisti. Alcuni davvero di lunga data, tanto che potrebbero rientrare fra i veterani in un ipotetico e surreale albo professionale. Uno di loro, Mohamad Malek Bakkour, un giovane uomo siriano di 34 anni, racconterà a un altro soggetto, in un’intercettazione captata, di fare questo “lavoro” ormai da sei anni, sulla rotta Istanbul-Italia. Spiegando anche che ogni migrante versava cifre fra 5.500 e 6.500, senza che si comprenda nelle ricezioni la valuta. Ma si presume trattarsi di euro.

Partenze da Turchia, Grecia e Albania

Quella che i finanzieri del Gico di Lecce hanno sgominato, con il supporto dello Scico di Roma e il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia salentina, è probabilmente una delle più fitte e potenti reti di trafficanti di vite umane sulle quali mai si sia posato occhio di investigatore. Alle attività ha preso parte anche personale dell’Aisi, il servizio segreto italiano, che si è interfacciato con il Comando generale della guardia di finanza.

Video | Parlano gli investigatori

Per indagare a fondo quella che è definita una vera e propria associazione per delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina (con l'aggravante del reato transnazionale), si presume vi siano stati anche uomini infiltrati. Mettendo così a nudo una rete talmente strutturata da non lasciare nulla al caso. Tutto, infatti, era organizzato nel dettaglio, dai trasferimenti via mare dalle coste turche, greche o albanesi verso i litorali dell’Italia meridionale (soprattutto quelli della provincia di Lecce, ma anche di Brindisi e calabresi), fino alle destinazioni finali sognate dalla maggior parte dei migranti, qui solo di passaggio. In particolare: Germania, Austria, Belgio, Gran Bretagna, Paesi Bassi. 

Un nucleo investigativo internazionale

È presto per dire se questo enorme sforzo investigativo servirà a bloccare gli sbarchi. L’affare è talmente redditizio che probabilmente altri si attiveranno a breve per ereditare le redini di chi si trova ora con le spalle al muro, mettendosi in gioco. Pur nella consapevolezza che sarà da oggi molto più difficile farla franca. Occorrerà cambiare canali, essere più accorti, anche perché le forze in campo per contrastare i traffici non sono, certo, solo su sponda italiana. In quest’inchiesta, infatti, sono coinvolti con un ruolo comprimario anche i cugini albanesi e greci. E non è la prima volta. Nulla sarebbe stato possibile, insomma, senza la formazione di una squadra investigativa comune che comprende magistratura  e finanzieri   leccesi  e omologhi greci e albanesi, fra cui la divisione immigrazione della polizia dell’Attica e la polizia di Tirana. Tanto che nell’offensiva scattata all’alba di oggi, su quarantasette arresti (per cinquantadue indagati totali), ventidue sono stati eseguiti in Italia e venticinque in Albania, mentre in Grecia si sono svolte due perquisizioni in "agenzie". Una vera e propria tenaglia.

Le due cellule italiane

Come detto, quattro sono le cellule individuate, ognuna con un leader riconosciuto. Due di questi gruppi avrebbero agito direttamente in Italia. Uno sarebbe stato diretto da Alaa Qasim Rahima, residente nell’hinterland di Venezia. Il “Re dell’Italia” “o delle auto”, che dir si voglia. L’ultimo terminale di una catena lunga migliaia di chilometri. Sarebbe stato lui, con i suoi mezzi e i suoi uomini, a coordinare il trasferimento di migranti irregolari – specie siriani – sia su varie parti del territorio italiano, sia in altre nazioni europee. In sostanza, grazie a un’estesa rete di collaboratori disseminati ovunque, anche in Grecia, comodamente seduto da casa, avrebbe gestito il trasferimento di stranieri dalla Turchia verso vari stati dell’Unione europea.

Majid Muhamad, invece, residente a Bari, si sarebbe occupato soprattutto di recuperare gli scafisti dai luoghi d’approdo. Tante volte ci si è chiesti come mai, a cospetto di decine e decine di migranti appena sbarcati, spesso fra loro intere famiglie, non si riuscisse a individuare sempre i conduttori delle imbarcazioni.

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Semplice (si fa per dire). Dietro ci sarebbe stata l’organizzazione di Majid Muhamad, capace di raccogliere nel Salento o in Calabria, a seconda del luogo d’approdo, gli scafisti riusciti ad allontanarsi per tempo, sfuggendo alla cattura (e qualche volta anche dopo la scarcerazione), ospitarli il più delle volte in alberghi di Bari, per poi agevolarne il trasferimento verso la Grecia e la prosecuzione del viaggio sino al rientro in Turchia. In ogni modo possibile, persino facendo salire di soppiatto i sodali dentro camion diretti sulla sponda opposta (quindi, senza che i conducenti sapessero nulla). A volte con qualche inconveniente da risolvere, come quella volta che uno di loro, invece di ritrovarsi nel porto di Bari, scoprì di essere sceso a Locorotondo. Evidentemente, il tragitto del camion non era quello sperato. Ma tant’è: per ogni rientro conclusosi bene, uno scafista ritornava abile all’azione e assoldabile per uno sbarco successivo.

La cellula albanese e quella turca

Poi, ci sono gli altri due gruppi, operanti all’estero. Ad avere le redini in Albania, sarebbe stato il siriano Sultan Ahmed, specializzato nel trasferimento dei migranti giunti dalla Grecia nel Paese delle Aquile, per essere imbarcati alla volta delle coste della Puglia. Infine, una delle più potenti cellule, sarebbe quella capeggiata in Turchia dall’irachen Awat Abdalrahman Rahim Rahim. Quest’ultimo, avrebbe provveduto al trasferimento dei migranti provenienti da Paesi del Sud dell’Asia a bordo di imbarcazioni dirette verso le coste salentine e calabresi.

L’analisi dei flussi migratori intercettati durante le indagini ha consentito di risalire al tragitto seguito dai migranti che, partiti dai paesi di origine, raggiungevano la Turchia per intraprendere da lì il viaggio verso località dell’Unione europea via mare. Tre le opzioni: partenza direttamente dalla costa turca, dalla Grecia o dall’Albania, dopo aver raggiunto tali nazioni beneficiando di intermediari.

I pagamenti con l’antico metodo sarafi

Le indagini hanno permesso anche di svelare – o meglio, confermare, perché modus operandi già noto, fra l’altro molto antico – come avvenisse il passaggio di denaro per i vari pagamenti: attraverso il metodo detto sarafi o a awala, “[…] fondato sulla esistenza di una sorta di circuito clandestino di intermediari finanziari costituito da persone fisiche la cui presenza è stata accertata sia in territorio italiano che greco, turco e albanese, indicate come agenzie presso cui viene depositato il danaro che viene poi corrisposto da altra agenzia nel caso di sblocco da parte di chi disponeva della somma”, scrive in un passaggio fondamentale dell’ordinanza il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce, Laura Liguori (che ha ordinato i ventidue arresti in suolo italiano, ndr). “Il medesimo metodo […] – prosegue il giudice - veniva utilizzato […]  anche dai migranti per pagare il prezzo del trasporto”. Mediamente, 6mila euro a testa per ogni migrante, per quanto riguarda i viaggi da Grecia o Albania. Fino a 7/8mila euro, per salpare dalla più lontana Turchia.

Trenta gli episodi analizzati

All’operazione di oggi, ribattezzata “Astrolabio” (dall’antico strumento che serviva per eseguire facilmente complessi calcoli astronomici), hanno partecipato oltre ottanta militari del Comando provinciale di Lecce della guardia di finanza e dello Scico (Servizio centrale investigazione criminalità organizzata di Roma), in sinergia con le polizie greca e albanese e con unità mobili di Europol, coordinate da Eurojust (Paesi Bassi). Il tutto, sotto la guida della Direzione nazionale antimafia e della Direzione distrettuale antimafia di Lecce.

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Trenta gli episodi sui quali si sono soffermati gli investigatori, tanti quanti ne sono stati monitorati dai finanzieri del Nucleo di polizia economico finanziaria di Lecce grazie al supporto aereo e dei mezzi navali del Reparto operativo aeronavale di Bari in collaborazione con i velivoli di Frontex nel Canale d’Otranto.

In realtà, sono solo una parte. Molti altri, avvenuti in precedenza, contemporaneamente o in seguito, a ben vedere, hanno caratteristiche identiche. Il Gico di Lecce, con i suoi uomini, su ognuno di questi eventi ha svolto certosine ricostruzioni, tanto che agli otto scafisti arrestati in flagranza nell’arco temporale di un anno, altri  se ne sono aggiunti oggi.

I principali indagati in italia

Per quanto riguarda Awat Abdalrahman Rahim Rahim, è stato richiesto dall’Italia alla Turchia l'estradizione. Circa gli affari di  Sultan Ahmed e dei suoi presunti sodali, ci ha pensato la polizia albanese. Ventidue sono coloro verso i quali si sono rivolte le attenzioni delle autorità italiane, dato che inquadrati nelle due organizzazioni operanti lungo lo Stivale.

Oltre a Majid Muhamad, Awat Abdalrahman Rahim Rahim ed Alaa Qasim Rahima, di cui si è già detto, l’ordinanza di arresto riguarda anche il fratello di quest’ultimo, Omar Qasim Rahima, iracheno 31enne, domiciliato anch’egli a Fossalta di Piave. E poi: Faraidun Hama, 45enne iracheno, con residenza a Trani, sebbene domiciliato in Liguria; Kawa Jasim Mohammed Mohammed, 42enne iracheno, residente a Cremona; Konstantine Broladze, 34enne di Tbilisi (Georgia); Irakli Khurtsidze, 34enne georgiano, residente a Bari; Mariami Nishnianidze, 22enne georgiana, residente a Bari; Barzan Abdoulrahman Muhammed Amin, 29enne iracheno, con domicilio a Bari; Muhamad Seyha, 21enne siriano; Mohamad Malek Bakkour, siriano 34enne; Oleh Polovynka, ucraino 24enne; Oleksandr Vlaiku, 39enne ucraino; Viktor Markov, 41enne ucraino; Andrii Andrukhov, 29enne ucraino; Yahya Almury, 27enne siriano; Sagynbek Anarbek Uulu, 32enne del Kirghizistan; Kylymbek Nazarbek Uulu, 22enne, anch’egli kirghiso; Maksym Honcharenko, 28enne ucraino; Serhii Makohon, 28enne ucraino; Mohamed Abdessalem, 25enne siriano. Diversi fra i soggetti appena citati, sono stati individuati quali scafisti.

Per approfondire

Per tutti gli approfondimenti, e qualche curiosità, consigliamo di leggere gli articoli che seguono: L'inchiesta giornalistica che ha anticipato gli investigatori; Lo sfuggente iracheno che dalla Turchia gestiva enormi traffici; Il "Re dell'Italia" che garantiva viaggi verso tutto il nord dell'Europa.  

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