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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca Via Brenta

Inchiesta bis sui palazzi di via Brenta, l'ex sindaco Poli Bortone tra gli indagati

Indagato anche l'ex segretario comunale Domenico Maresca. La Procura ha proceduto alle iscrizioni con l'ipotesi di peculato, dopo l'ordinanza emessa dal giudice monocratico Stefano Sernia, che aveva rimandato gli atti al pubblico ministero, ravvisando elementi diversi

LECCE – Era scritto nella sentenza di primo grado di una delle inchieste più controverse della storia recente del capoluogo salentino, quella del processo sui palazzi di via Brenta. Il giudice Stefano Sernia, infatti, in un’ordinanza complessa, precisa e articolata, aveva evidenziato, oltre a come il reato di truffa, contestato dalla pubblica causa, non fosse configurabile, che i nuovi capi d’accusa (abuso d’ufficio e peculato) dovevano comprendere altri due e personaggi illustri dell’amministrazione comunale leccese: l’ex sindaco Adriana Poli Bortone e l’ex segretario comunale Domenico Maresca.

Secondo il giudice Sernia, infatti, non è possibile che Giuseppe Naccarelli, ex dirigente del servizio finanziario del Comune di Lecce, abbia agito all’insaputa dell’ex primo cittadino che, secondo quanto da lei stessa dichiarato in sede dibattimentale, doveva essere avvisata dell’operato del funzionario comunale. Per la Procura è una sorta di atto dovuto poiché, codice alla mano, quanto indicato nella sentenza riveste carattere di “notizia di reato”.

Oggi, a distanza di quindici giorni da quella sentenza tanto attesa, l’ex senatrice entra a pieno titolo nell’inchiesta sul polo della giustizia civile leccese e rischia dunque di diventare uno degli imputati in quello che, oltre che un processo assai complicato, rimane un caso politico e giudiziario che continua a dividere l’opinione pubblica e a contrapporre schieramenti e partiti. Si tratta, infatti, di un processo in cui la stessa amministrazione comunale, guidata oggi dal sindaco Paolo Perrone e assistita dall’avvocato Andrea Sambati, si è già costituita come parte civile nei confronti degli imputati, tra cui alcuni degli ex uomini di fiducia dell’allora sindaco Poli Bortone.

Tra loro, infatti, Massimo Buonerba, l'ex consulente legale della Poli; Ennio De Leo, ex assessore al Bilancio del Comune di Lecce, e Giuseppe Naccarelli, ex dirigente del servizio finanziario del Comune di Lecce. Oltre a Buonerba, De Leo e Naccarelli, gli altri imputati sono Pietro Guagnano, legale rappresentante della Socoge; Maurizio Ricercato; Piergiorgio Solombrino, ex dirigente dell'ufficio tecnico; e Roberto Brunetti, tecnico dell'ufficio Patrimonio di Palazzo Carafa.

Il pubblico ministero Antonio De Donno dovrà riformulare l’accusa anche nei confronti di Vincenzo Gallo (funzionario della SelmaBipiemme), Renato Kobau e Fabio Mungai, amministratore delegato e dirigente della Selmabipiemme; e Nicola Baldassarre, funzionario ed agente della SelmaBipiemme, per cui il giudice ha rigettato, dopo la pronuncia della Consulta, l’ipotesi d’incompetenza territoriale del tribunale di Lecce per il reato di truffa.

Il processo, è bene ricordarlo, ha già espresso anche i primi verdetti con la condanna di Naccarelli a tre anni (per il reato di falso) e l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. Assolti dallo stesso reato, invece, Piergiorgio Solombrino e Roberto Brunetti.

conf-polibortone-2Secondo quanto ipotizzato dall'accusa (inizialmente il sostituto procuratore Imerio Tramis e successivamente il procuratore aggiunto Antonio De Donno), la truffa (come detto il reato ipotizzato sino alla sentenza dalla Procura) sarebbe stata ordita al fine di agevolare la Socoge, proprietaria degli immobili di via Brenta. Questa ha poi venduto i due complessi alla società Selmabipiemme, che li ha poi ceduti in leasing al Comune di Lecce. Le due società si sarebbero accordate per stipulare un contratto di leasing ben più oneroso del valore reale, proprio in previsione che il Comune subentrasse alla Socoge e dunque ne ereditasse le condizioni svantaggiose. Un contratto di leasing che impegnò l'amministrazione leccese a versare due milioni e mezzo di euro all'anno per 20 anni, oltre ad un riscatto di 14 milioni di euro. Nel mezzo cifre gonfiate e atti falsificati, tutto – secondo la Procura – a scapito del Comune e di un danno patrimoniale di milioni di euro.

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