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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca

Leggere chat private è un reato: condannato il titolare di una parafarmacia

Un mese e dieci giorni di reclusione, più risarcimento del danno per 6mila euro, al datore di lavoro accusato di aver sbirciato sul profilo whatsapp web di una dipendente e di averla minacciata: “Se te ne vai, ti faccio terra bruciata”

LECCE - Leggere le chat altrui, senza autorizzazione, è un reato. Si chiama violazione di corrispondenza. A chiarirlo è stato il giudice Sergio Tosi del tribunale di Lecce in una recente sentenza con la quale ha condannato a un mese e dieci giorni di reclusione il titolare di una parafarmacia alle porte di Lecce che aveva letto e ascoltato file scambiati su whatsapp web tra due sue dipendenti.

 “L’esigenza di tutela della segretezza delle comunicazioni si impone anche riguardo ai messaggi scambiati tra gli aderenti alle chat private. I messaggi che circolano attraverso le nuove forme di comunicazione, ove inoltrati non ad una moltitudine indistinta di persone ma unicamente a soggetti determinati come partecipanti di una chat privata o chiusa, devono essere considerati alla stregua della corrispondenza privata, chiusa e inviolabile”, osserva il giudice.

Questi i fatti oggetto del processo discusso due giorni fa col rito abbreviato: l’impiegata (assunta a tempo determinato), su richiesta del proprietario, il 18 settembre del 2020, durante le ore di lavoro, aveva attivato sul desktop del pc di quest’ultimo l'applicazione whatsapp web associata al profilo di lei per consentirgli di scaricare alcuni file.

Era tuttavia accaduto che al termine del turno, la donna avesse dimenticato di chiudere l’applicazione, e che il datore di lavoro avesse sbirciato e stampato le conversazioni e ascoltato i messaggi vocali in cui parlava di lui con una collega. L’imputato aveva postato così una foto della chat in un gruppo creato ad hoc denominato “Senza Parole”, inserendo le due dipendenti.

Il giorno dopo, a seguito della decisione della titolare del profilo “violato” di voler interrompere il rapporto lavorativo, l’uomo l’avrebbe minacciata che qualora se ne fosse andata avrebbe provveduto a farle "terra bruciata" in tutte le farmacie e parafarmacie di Lecce e provincia.

Il giudice Tosi ha ritenuto insussistente il reato di accesso abusivo poiché, nel caso specifico, il sistema informatico non era protetto da misure di sicurezza, mentre ha considerato fondate le accuse di tentata violenza privata e quella di violazione, sottrazione e soppressione della corrispondenza, in ragione delle quali ha inflitto la pena complessiva di un mese e dieci giorni di reclusione (col beneficio della pena sospesa e non menzione), e il risarcimento del danno per 6mila euro alla dipendente, parte civile con l’avvocata Anna Pecora.

Il datore di lavoro ora potrà proporre ricorso in appello con gli avvocati Cosimo D’Agostino e Valeria Corrado.

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