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Cronaca Lequile

Lettera alla famiglia di Caramuscio: “Il rimorso mi tormenta. Perdonatemi”

Negli atti del processo c’è anche la missiva scritta da Andrea Capone, il 28enne di Lequile che risponde in concorso con Pauljin Mecaj dell’omicidio dell’ex direttore di banca, avvenuto la sera dello scorso 6 luglio, durante una rapina

LEQUILE - “Il rimorso mi tormenta giorno e notte da quella maledetta sera”: è questo uno dei primi passaggi della lettera scritta da Andrea Capone, il 28enne di Lequile imputato per l’omicidio dell’ex bancario di Monteroni Giovanni Caramuscio, di 69 anni.

La missiva fu spedita al presidente della Corte d’Assise Pietro Baffa, al pubblico ministero Alberto Santacatterina e all’avvocato che assiste i familiari della vittima, Stefano Pati, qualche giorno dopo la fissazione del processo a suo carico e a carico dell’amico e compaesano Pauljin Mecaj, di 31 anni. L’obiettivo di Capone è che le sue parole possano arrivare alla moglie e ai figli di Caramuscio, sperando di poter ottenere un giorno il loro perdono.

Ad aprire il fuoco, la sera dello scorso 16 luglio, davanti a uno sportello bancomat a Lequile fu Mecaj, dopo la reazione della vittima che per difendersi tirò un pugno al 28enne. A chiarirlo sono state le indagini dei carabinieri e la confessione contenuta in una lettera depositata ieri in apertura del dibattimento, integralmente pubblicata in questo articolo.

Ma il 28enne sostiene di essere stato all’oscuro che il complice fosse armato, ed quanto cercherà di dimostrare attraverso gli avvocati difensori Raffaele De Carlo e Maria Cristina Brindisino: “Mai prima di quel momento ero a conoscenza che Paulin Mecaj avesse un’arma né tantomeno che l’avesse addosso in quell’occasione. Appena sono stati esplosi i colpi di pistola, ho avuto paura, sono scappato, poi mi sono avvicinato a Paulin e gli ho detto: “Cosa hai fatto? Sei pazzo? Da dove è uscita questa pistola?. Non immaginavo comunque che il signor Caramuscio fosse morto”.

Proseguendo il racconto di quella sera, il ragazzo riferisce che: “Sono tornato a casa, tutti dormivano, mi sono chiuso in camera, mi venivano i rimorsi di coscienza, volevo confidare l’accaduto a qualcuno così magari mi avrebbe consigliato di recarmi presso le forze dell’ordine, ma la paura è stata enorme, era successo qualcosa di inimmaginabile, non doveva farsi male nessuno”. E ancora: “Per tutta la notte rivedevo la scena e speravo che l’avesse solo ferito, ero paralizzato, angosciato e pieno di rimorsi, non sapevo cosa fare, chiedere scusa, perdono per quello che era successo, ma la paura era enorme.”

La notizia della morte l’avrebbe appresa dai media il giorno dopo e con questa la notizia dell’arresto di Mecaj, al quale sarebbe seguito il suo.

“Da quel giorno non trovo pace, al momento del mio arresto mi sembrava irrispettoso, per il dolore provocato alla famiglia, chiedere perdono, ma soprattutto fargli le mie più sentite e sincere scuse, mi vergognavo. Spero che possiate accettare le mie scuse. Non ho parole per scusarmi di tutto il male che ho fatto alla famiglia Caramuscio. Non era assolutamente mia intenzione. Ma purtroppo è accaduto. Se potete, perdonatemi”, conclude.

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