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Cronaca Otranto

A luci spente in mare aperto: una notte sulle rotte dei traffici di droga e di esseri umani

Le redazioni di LeccePrima e BrindisiReport, in esclusiva, a bordo dei mezzi dei finanzieri del Roan: ogni notte impegnati nei controlli nel Canale d'Otranto, per fermare i narcotrafficanti e gli scafisti

OTRANTO - Il refrain è sempre lo stesso e si ripete, come un mantra, un po’ per tutte le forze dell’ordine. “In fondo è il loro dovere, sono pagati per questo”. Ma fino a quando non si sale a bordo di quel guardacoste allestito come fosse una vera e propria casa galleggiante, non ci si può rendere conto del piccolo, grande “miracolo” che, ogni notte, si ripete nel Canale d’Otranto.

La mattina successiva, la notizia è già divulgata sulle testate locali e i titoli si susseguono: fermati gli scafisti che trasportavano migranti disperati dietro esosi compensi, ma condizioni misere. E, ancora, sequestrati quantitativi di droga da capogiro. Inseguimenti spericolati in mare. Bambini soccorsi. Ma dietro le quinte di queste delicate operazioni nel basso Adriatico (nelle quali, aldilà di tutto, l’imperativo è mettere in salvo la propria pelle e le vite degli altri) la regia è quasi sempre la stessa: quella del Reparto aeronavale di Bari e Taranto, e delle sezioni operative navali tra cui quella di Otranto.

Ed è proprio dal porto idruntino che il guardacoste “G122 La Spina”, guidata dal luogotenente Rocco Troisi, ha mollato gli ormeggi per l’ennesima attività di pattugliamento nelle acque del Mediterraneo, con due redattori delle testate LeccePrima e BrindisiReport a bordo, alle 19. Un equipaggio di 14 uomini, tra i quali il capitano delle fiamme gialle di Otranto, Vincenzo Capone e i due comandanti del Roan di Bari: quello uscente, il colonnello Maurizio Muscarà, e il nuovo, in carica dal primo settembre, il parigrado Antonello Maggiore. I radar sono attivi, tutti i dispositivi vengono accesi. Ognuno alla propria postazione per le manovre di uscita dal porto.

E si parte, diretti a sud, con un’imbarcazione di circa 27 metri che navigherà per circa 15 o 16 ore: tante, infatti, quelle di servizio per il team di finanzieri a bordo che, ogni notte, percorrono mediamente 300 miglia. Otranto diviene via via uno scarabocchio di luci confuse, sempre più lontane. Frustate continue di umidità sul viso e nelle ossa: per gli uomini delle fiamme gialle è routine. Come sono ormai “prassi” la violenza delle raffiche di vento, il maltempo, il vorticare del guardacoste quando il mare non si fa complice della lotta all’illegalità. Capo d’Otranto, Castro, la scogliera a picco e, infine, l’intermittenza del faro del Capo di Leuca si comincia man mano a vedere: lentamente (la velocità del mezzo è al massimo di 70 chilometri orari), ci si avvicina al lembo estremo del Salento. Dopo aver praticamente costeggiato il tratto costiero maggiormente interessato dal fenomeno degli sbarchi di migranti: circa il 70 per cento delle traversate, infatti, terminano proprio qui.

Il buio, si sa, a Levante giunge presto. L’equipaggio prepara la cena. Ci si organizza prima, non si sa mai. In caso di emergenze, infatti, in mare ci si può restare persino per 36 ore. Sono tutti sottocoperta, in una cooperazione organizzata e fluida: ognuno ha il proprio compito. A ciascuno il proprio ruolo tecnico, di manutenzione dell’imbarcazione, di responsabilità. E, puntuale, l’allarme non tarda ad arrivare. Il radar della plancia segnala un cosiddetto” target” sospetto, come si dice in gergo: nella costellazione di imbarcazioni che affollano le acque mediterranee, una colpisce più delle altre. Nervi tesi. Da Bari, intanto, è partito anche l’elicottero del Roan. Sorvola i cieli del Salento, con lo zoom puntato sulla presenza di quel natante sospetto. Vengono spente le poche luci fioche a bordo del guardacoste. Si procede completamente al buio, tagliando il mare in una linea immaginaria, in direzione di quel “puntino” segnalato sul monitor che, a sua volta, sembra procedere altrettanto al buio. Ma si tratta di un falso allarme e l’emergenza rientra.

Passata la "bufera", è possibile fare una chiacchierata con i membri dell’equipaggio, che raccontano volentieri le esperienze vissute in mare a bordo del guardacoste. “Questa – dichiara il nostromo, volgendo lo sguardo verso i colleghi che tengono d’occhio il radar e i comandi della contro plancia – è la mia seconda famiglia. Lo spirito di gruppo e la coesione sono fondamentali per portare a termine le nostre missioni. Trascorriamo intere giornate in mare. Quando non possiamo salpare per avverse condizioni meteorologiche, restiamo comunque a bordo del guardacoste, pronti a entrare in azione in caso di necessità. Se non ci fidassimo ciecamente l’uno dell’altro, non faremmo bene il nostro lavoro”. L’imbarcazione è stata progettata con doti di autonomia e tenuta che in condizioni di normale pattugliamento garantiscono la presenza in mare per più giorni, percorrendo oltre 600 miglia. In passato l’unità è stata rischierata in missioni di soccorso a Lampedusa, restandovi per 15 giorni. “Nel corso di una di queste attività – dichiara il comandante di unità – ci siamo ritrovati a soccorrere 50 persone a bordo di un barcone che stava per affondare. Riuscimmo a salvarli tutti. Quando in televisione scorrono le immagini di carrette del mare cariche di disperati in balia delle onde, mi ritornano in mente quei momenti”.

I militari che prestano servizio su un guardacoste sono in possesso di varie specializzazioni, fra addetti agli apparati radar e radio, alla gestione dei motori e alle manovre di bordo. Ognuno ha una sua mansione. Il direttore di macchina, ad esempio, deve assicurarsi che i motori (in grado di sviluppare una potenza pari a 7mila cavalli) e i numerosi impianti di cui è dotato il guardacoste funzionino alla perfezione, “perché altrimenti – spiega il finanziere – puoi avere anche il migliore equipaggio del mondo, ma la barca non va”. Nella sala macchine la temperatura supera i 40 gradi. Il rumore è assordante. Impossibile sopportarlo senza un paio di cuffie insonorizzate. “Qui – afferma il militare – deve esserci sempre qualcuno. Ci alterniamo con turni di un’ora per non lasciare mai sguarnito quello che è il cuore pulsante del guardacoste”. Una parte dei militari che ha ricevuto specifico e intenso addestramento è in grado anche di effettuare abbordaggi in condizioni d’impiego particolarmente dedicate, come previsto dalle funzioni del “Team di abbordaggio”.

Nulla, insomma, può essere lasciato al caso durante le lunghe ore di navigazione in mare aperto. In media ci sono sempre in giro 4-5 unità (fra guardacoste, motoscafi “Corbelli” e gommoni) del Roan di Bari, sotto il coordinamento della stazione navale, da cui dipendono le sezioni operative di Manfredonia, Brindisi, Taranto, Otranto e Gallipoli. “Quando diamo la caccia ai trafficanti – dichiara un finanziere – dobbiamo vedere, senza farci vedere”. Ed è così che funziona: la presenza in mare che non deve farsi ingombrante. Con quella stessa discrezione, quasi in silenzio, riprendono il largo dopo averci fatto scendere nel porto di Otranto. Se ne vanno al buio.

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