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Cronaca

Morì annegato nel sottopasso di via Leopardi, slitta a novembre l'appello

Rinvio per uno dei processi più controversi, che ha visto la condanna in primo grado del sindaco Perrone

LECCE –  E’ slittato a novembre il processo d’appello relativo alla morte dell’avvocato Carlo Andrea De Pace. L’uomo, 81enne, morì per annegamento, intrappolato all’interno della sua Spider, finita nel sottopassaggio fra via del Mare e viale Leopardi, letteralmente allagato a causa del nubifragio che dalle prime ore della giornata si era abbattuto sulla città. In primo grado il giudice Silvia Minerva ha condannato a dieci mesi il sindaco Paolo Perrone e l'allora dirigente del settore Lavori pubblici Claudia Branca.

Quella mattina De Pace finì con l’auto nel fondo del sottopassaggio, trasformatosi in una sorta di catino. La Spider rimase intrappolata, e l’abitacolo fu completamente invaso dall’acqua. Invano alcuni passanti lo raggiunsero in quella sorta d’inferno liquido. Quando riuscirono con difficoltà (a causa della pressione) ad aprire lo sportello, estrassero un uomo ormai già deceduto. Il corpo fu adagiato sulla parte sovrastante dello scivolo e racchiuso sotto una coperta pietosamente portata da alcuni residenti. I soccorsi, quel giorno, ebbero difficoltà ad arrivare. Innumerevoli le chiamate a vigili del fuoco, 118 e varie forze di polizia per via di una situazione di totale emergenza che paralizzò parte della provincia.

Il sindaco e il dirigente comunale sono finiti sotto inchiesta e poi rinviati a giudizio dopo indagini eseguite dai carabinieri della compagnia di Lecce, su coordinamento del pubblico ministero Paola Guglielmi, con l’accusa di omicidio colposo per omessa cautela. Entrambi, infatti, secondo l’accusa, avrebbero “cagionato per negligenza, imprudenza e imperizia, il decesso di De Pace”.

L’ex comandante della polizia municipale di Lecce, Raffaele Urso, è stato condannato a sei mesi per favoreggiamento aggravato (rigettata, in questo caso, la richiesta di risarcimento alle parti offese perché il reato non lo prevede). Secondo l’ipotesi accusatoria avrebbe tentato di ostacolare le indagini facendo pressioni su un suo sottoposto, mentre questi si trovava a testimoniare presso il comando provinciale dell’Arma. Dopo aver ricevuto la telefonata, l’ex comandante sarebbe prima rientrato presso la sede della polizia municipale, per poi tornare in caserma dopo più di un’ora, dicendo ai militari di non voler rilasciare dichiarazioni, limitandosi a riportare quanto già scritto nella relazione di servizio.

Di rilievo sono state nel corso del processo, oltre alle deposizioni di tanti testimoni che quel giorno si trovarono a passare, anche la perizia depositata da due consulenti nominati dalla Procura. A causare l’allagamento sarebbe stato un “rigurgito” provocato dall’insufficiente funzionamento del sistema di smaltimento delle acque piovane in mare e che si sarebbero dunque riversate all’interno del sottopassaggio.

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