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Cronaca Guagnano

Morì dopo cure per cancro, era un innocuo angioma: condannato oncologo

Due anni con pena sospesa per Dario Muci del "Sambiasi" che ebbe in cura Bruna Perrone, una donna di Guagnano spirata per una "citopenia del sangue periferico" causata, con ogni probabilità, dal trattamento chemioterapico

LECCE – Un innocuo angioma gigante scambiato per un tumore al fegato e cure quindi invasive e inadeguate, che potrebbero essere state la causa del rapido declino, fino al decesso, di Bruna Perrone, una donna di Guagnano spirata a 58 anni nel giugno del 2008.

Ora, con l’accusa di omicidio colposo, è arrivato il primo verdetto di colpevolezza: due anni (pena sospesa) per l’oncologo Dario Muci, in servizio all’epoca dei fatti all’ospedale “Sambiasi” di Nardò. Assolto, invece, il radiologo Manrico Delli Noci.

Questo quanto stabilito dal giudice monocratico Marcello Rizzo nell’udienza di oggi. Il risarcimento avverrà in separata sede e riguarderà marito e tre figli, che si sono costituiti parte civile con gli avvocati Rocco Vincenti e Stefano Prontera. Gli imputati, invece, erano difesi rispettivamente dagli avvocati Giuseppe Bonsegna e Giuseppe e Pasquale Corleto.

In precedenza erano già stati assolti altri due radiologi che avevano scelto di essere giudicati con il rito abbreviato: Claudio Nuzzo e Roberta Montefrancesco.

Resta dunque solo il medico che curò la donna, l’unico responsabile, secondo il giudice, per quel decesso. Lo stesso pubblico ministero che aveva in mano il fascicolo, Stefania Mininni, aveva chiesto la condanna a tre anni per Muci (dunque, superiore rispetto a quanto stabilito dal giudice) e l’assoluzione per Delli Noci.

ll caso di Bruna Perrone, fu portato alla luce sul finire del 2009 dai due legali della famiglia, che hanno anche chiesto e ottenuto la citazione per responsabilità civile dell'Asl di Lecce, rappresentata dall’avvocato Paolo Pellegrino.

Nel luglio del 2004 alla donna fu diagnosticato un cancro al fegato, senza che fossero eseguite analisi approfondite. Fu sottoposta a chemioterapia fino all’aprile del 2007. Solo allora un altro medico, eseguendo una nuova Tac, si accorse che la donna non era affetta da carcinoma, bensì da un angioma.

La conferma definitiva, grazie ad altri due esami radiologici, arrivò nel settembre 2007. Poco dopo, però, alla paziente fu diagnosticata una “citopenia del sangue periferico” causata, con ogni probabilità, dal trattamento chemioterapico. La donna fu sottoposta a un trapianto del midollo, che non riuscì a scongiurare il decesso.  Le motivazioni saranno depositate entro novanta giorni.

Nel corso del procedimento, importanza fondamentale potrebbero aver avuto le consulenze formulate dai vari periti. Il medico Piero Grima, ad esempio, specializzato in medicina interna, microbiologia clinica e malattie infettive, e chiamato per le parti offese, nella sua relazione scritta, aveva sostanzialmente ratificato l’errore diagnostico, il fatto che la donna sia stata sottoposta inutilmente a sedute di chemioterapia, e la morte sopravvenuta per leucemia.

Il medico legale Lorenzo Polo e il radiologo Giusppe Di Giulio, entrambi dell’ospedale “San Matteo” di Pavia, avevano invece sostenuto l’estraneità del radiologo Delli Noci da responsabilità, in quanto chiamato a svolgere due esami, ma con diagnosi formulata da altri.  

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