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Cronaca

Morte del madonnaro, l’arrestato in lacrime davanti al gip. S’indaga per omicidio preterintenzionale

Si è svolto in mattinata l’interrogatorio di convalida del fermo del 23enne Mamadou Lamin, disposto nell’ambito dell’inchiesta sul decesso di Antonio Vitale. Resterà in carcere, ma per la giudice il reato è quello di morte come conseguenza di altro reato (rapina). Eseguita ieri l’autopsia: “Emorragia cerebrale”

LECCE - Sono in corso gli accertamenti in merito al decesso di Antonio Vitale, 59enne di Oria, avvenuto l’11 ottobre, nel “Vito Fazzi”, sei giorni dopo essere stato soccorso in viale Oronzo Quarta, all’angolo con via San Giovanni Bosco, nei pressi della stazione ferroviaria di Lecce, dove era stato trovato disteso a terra con una ferita alla testa.

Di certo la morte è avvenuta a causa di un’emorragia cerebrale, così come ha confermato l’autopsia eseguita ieri mattina, su incarico della Procura, dal medico legale Alberto Tortorella.

Ma sulla base degli elementi analizzati finora dal consulente non è stato ancora possibile risalire a cosa abbia provocato quella ferita, se un oggetto contundente o piuttosto una caduta a terra. Quest’ultima circostanza, se confermata nelle prossime settimane (il tempo concesso dal pm per completare la perizia è di sessanta giorni) sarebbe in linea alle dichiarazioni rese dal giovane, Mamadou Lamin, 23enne senegalese senza fissa dimora, sottoposto a fermo nell’ambito delle indagini in cui è ipotizzato il reato di omicidio preterintenzionale (inizialmente era quello di morte come conseguenza di rapina) e rapina aggravata.

Oggi, durante l’interrogatorio di convalida, il ragazzo ha ribadito quanto già aveva raccontato nei giorni scorsi al pubblico ministero Giorgia Villa e agli agenti della squadra mobile che erano riusciti a identificarlo attraverso i filmati ripresi dalle telecamere posizionate nella zona in cui fu soccorso il madonnaro.

In particolare, alla gip Alessandra Sermarini, l’indagato ha riferito, in lacrime, alla presenza dell’avvocato difensore Maurizio My, che non voleva fare alcun male alla vittima, ma voleva solo appropriarsi del suo trolley, avendo notato che questa, poco prima, in una kebabberia, aveva riposto all’interno dei soldi. Stando alla sua versione, però, mentre sottraeva la valigetta, entrambi sarebbero caduti al suolo, ma lui sarebbe riuscito a rialzarsi immediatamente e a fuggire con la refurtiva, senza aver modo di comprendere la gravità della situazione; dopo essersi appropriato delle monete (per complessivi 37 euro) si sarebbe disfatto del trolley, proseguendo la fuga con una bici rubata.

La giudice, ritenendo credibile il ragazzo che ha confessato subito le sue responsabilità, al termine del confronto ha convalidato il fermo in carcere, ritenendo però che la qualificazione del reato ipotizzato, insieme a quello di rapina, debba essere quello di morte come conseguenza di altro reato.

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