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Cronaca

Nessuna impronta di Manzari sulle armi sequestrate in masseria

L'esito delle perizie del Ris sarebbe negativo. Sull'immenso carico trovata solo mezza impronta di cui è forse impossibile stabilire la paternità. L'8 luglio si va al Riesame. L'arresto a giugno, ma il blitz è del novembre 2015

LECCE – Si discuterà il prossimo 8 luglio, davanti ai giudici del Riesame, la posizione di Giovanni Manzari, 54enne di Lecce, l’imprenditore agricolo finito in carcere con le accuse di detenzione abusiva di armi, esplosivo e munizioni, ma anche di ricettazione. Quest’ultimo reato è stato contestato come conseguenza del fatto che alcune armi fossero provento di furto.

Intanto, però, filtra una notizia al momento assolutamente inedita: gli esami affidati al Reparto investigazioni scientifiche di Roma su armi, munizioni e vari componenti sequestrati nel podere in cui abita, non avrebbero evidenziato alcuna impronta di Manzari. Solo sul componente di un’arma, sarebbe stata rilevata mezza impronta papillare. Di questa, però, forse è impossibile stabilire l’appartenenza, mancando i punti sufficienti.

L’assenza di impronte, in generale, non è necessariamente indice di accuratezza e protezione nel maneggiare i singoli oggetti (indipendentemente da chi l’abbia fatto). Quando venne eseguito il sequestro, infatti, bisogna ricordare come fosse pieno inverno. E le impronte permangono in determinate condizioni, come l’emissione di sudore.

L’arresto di Manzari è scattato all’alba del 23 giugno, sebbene il sequestro, svolto dai carabinieri del Nucleo investigativo di Lecce e dai militari del Nucleo cinofilo specializzato in ritrovamento di esplosivi di Tito (Potenza), risalga al 30 novembre del 2015. In quel periodo l’uomo era peraltro in carcere, a Brindisi con un’accusa di detenzione di sostanze stupefacenti.    

Nell’interrogatorio di garanzia del 24 giugno davanti al gip Simona Panzera era presente anche il magistrato inquirente, il sostituto procuratore Carmen Ruggiero. Non è usuale che accada. E’ evidente, in questo caso, il notevole interesse a scoprire tutti i retroscena: eventuali compartecipazioni, canali d'approviggionamento, obiettivi. Il sequestro è stato ingente e preoccupano soprattutto esplosivo e detonatori, ritrovati a chili. Ma da Manzari non è arrivata alcuna indicazione. E' rimasto in totale silenzio, avvalendosi della facoltà di non rispondere.

L’uomo è difeso dagli avvocati Carlo Martina e Giancarlo Dei Lazzaretti. L’avvocato Martina, già la mattina stessa dell’arresto, da Roma aveva depositato una richiesta al Riesame. I legali invocheranno la scarcerazione di Manzari o, quantomeno, un ammorbidimento della sua posizione, con detenzione ai domiciliari. Questo per svariati motivi. Il principale è l’assenza di attualità. L’arresto è arrivato, infatti, a distanza di ben sette mesi dal sequestro. E in tutto questo lasso di tempo, dalla masseria in cui l’uomo vive, nelle campagne fra Torre Rinalda e Casalabate, in località “Ceratelle”, dove gestisce con alcuni parenti l’attività di pascolo di pecore e di produzione di latticini, non sarebbe transitata più alcuna arma.

Gli stessi carabinieri del Nucleo investigativo di Lecce e del Nucleo cinofilo di Tito, la mattina dell’arresto del 23 giugno, hanno nuovamente messo a soqquadro masseria e dintorni, andando a scandagliare anche fra i soliti muretti a secco. Proprio lì, prima di Natale, erano emerse inquietanti “sorprese”. Questa volta, però, non è stato trovato nulla.

Giovanni Manzari-6Una perquisizione, dunque, del tutto negativa rispetto a quanto successo alla fine dello scorso anno, quando ogni singolo angolo della masseria e dei terreni circostanti, sembrava non dovesse mai terminare di riservare scoperte, tra fucili e pistole con e senza matricola, capsule innescanti per cartucce, palle di piombo per fucile da caccia di vari calibri, cartucce d’ogni genere, 30 chili di ogive per armi lunghe e corte, 23 chili di bossoli per pistole e fucili, polvere da lancio in quantità smisurata e persino 365 chilogrammi di polvere da cava ad alto potenziale e detonatori. Un inventario fra i più grossi mai stilati in un singolo sequestro nel Salento.

Manzari è anche indagato per detenzione di stupefacenti, sebbene la sua posizione si sia affievolita in corso d’opera. Al momento del blitz, come detto, era già in carcere, a Brindisi. Qualche giorno prima, rientrando con la sua Fiat Punto a Lecce - a bordo lo slavo Denis Ahmetovic, di 30 anni, residente nel campo “Panareo”, ma domiciliato nel capoluogo -, fu fermato da militari brindisini.

Trovati 3 chili di hashish, i due finirono in carcere, salvo poi Ahmetovic accollarsi nel corso dell’interrogatorio di garanzia la responsabilità del trasporto della droga, “scagionando” Manzari, che sarebbe stato all’oscuro del carico, e che in seguito è tornato in libertà.

Insomma, tutta questa vicenda, continua a restare un assoluto mistero. I carabinieri del Nucleo investigativo di Lecce, dal canto loro, hanno sempre manifestato la certezza che tutto il materiale fosse riconducibile a quell'uomo che, per inciso, ha un precedente specifico in materia di armi, risalente al 2010. 

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