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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca Gallipoli

Il "collaboratore" rincara la dose: "Padovano voleva assassinare Vincenzo Barba

Nuova udienza per l'omicidio del boss della Scu gallipolina "Nino Bomba" ad opera del fratello Rosario. Francesco Barba è tornato alla carica su di un presunto piano per uccidere l'ex sindaco e senatore. "Ostacolava la sua ascesa in politica"

LECCE – E’ stata ancora una volta un’udienza carica di tensione e colpi di scena quella che si è tenuta oggi, nell’aula bunker di Borgo San Nicola, dinanzi ai giudici della Corte d'Assise di Lecce, dove si sta celebrando il processo per l’omicidio del boss della Sacra corona unita Salvatore Padovano, avvenuto il 6 settembre del 2008 a Gallipoli, nei pressi della pescheria “Il Paradiso del Mare”. Un processo che vede come imputati Rosario Pompeo Padovano, fratello di Salvatore; Giuseppe Barba; Cosimo Cavalera; Fabio Della Ducata; Massimiliano Scialpi e Giorgio Pianoforte. Carmelo Mendolia, collaboratore di giustizia, ha scelto invece il giudizio abbreviato ed è stato condannato a 14 anni di reclusione.

Le indagini sulla morte di “Nino Bomba” hanno permesso di far luce anche sull'omicidio di Carmine Greco, risalente al lontano 13 agosto 1990. Un delitto avvenuto nell’ambito della gestione del traffico di sostanze stupefacenti. Greco avrebbe “spacciato ingenti quantitativi di droga sul territorio di Gallipoli da “cane sciolto”, senza rendere conto della sua attività all’organizzazione”. Anche in questo caso Rosario Padovano sarebbe il mandante, Mendolia l'esecutore materiale.

A tenere banco, anche in questa udienza, le dichiarazioni di Giuseppe Barba, neo e presunto collaboratore di giustizia, ascoltato oggi. In particolare, a scatenare il caso in aula sono state alcune affermazioni di Barba su un presunto piano di Rosario Padovano, che avrebbe meditato l’uccisione di Vincenzo Barba perché́ gli sarebbe stato di ostacolo nel suo tentativo di scalare i gradini della politica locale.

Barba Giuseppe-2-2-2Il politico gallipolino, già sindaco e senatore, non sarebbe stato d’accordo e ciò̀ avrebbe decretato l’inserimento del suo nome nel libro nero del clan. Dichiarazioni che sembrano ricalcare quelle, fumose e tutt’altro che acclarate, di Carmelo Mendolia, che già nel 2009 parlò di un presunto piano per far fuori un noto esponente politico gallipolino. Un’ipotesi smentita dallo stesso procuratore Cataldo Motta, che parlò di “mancanza di precisione sulle modalità̀, sulla gestione, sull’organizzazione, insomma su tutti i dettagli che potevano dare un’indicazione di passaggio a una fase più concreta rispetto ad un progetto di massima”.

rosario_padovano picc-2Le dichiarazioni di Barba, dunque, non sembrano portare alcun nuovo elemento un’ipotesi che non ha mai trovato riscontro. Non è la prima volta, del resto, che le dichiarazioni di Barba appaiono contraddittorie e prive di riscontri oggettivi. L’udienza è stata poi aggiornata al prossimo 21 marzo, data in cui a essere sentito sarà lo stesso Rosario Padovano.

Le indagini, coordinate dal sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Lecce, Elsa Valeria Mignone, hanno ricostruito scenari e moventi in cui l’omicidio avrebbe avuto origine. Un delitto di mafia scaturito dai contrasti sorti tra i Padovano all’indomani della loro scarcerazione. In quest’ottica, secondo la ricostruzione accusatoria, sarebbe scaturita la volontà di Rosario Padovano, in qualità di mandante, di far uccidere Salvatore, alias “Nino bomba”.

Vincenzo Barba.-7-2-2Esecutore materiale, Mendolia, collaboratore di giustizia e già autoaccusatosi dell’omicidio. Della Ducata gli avrebbe fornito ospitalità a Gallipoli, presso la propria abitazione, e gli avrebbe consegnato, pochi giorni dopo l’omicidio (a Casamassima, in provincia di Bari), una parte dei 10mila euro di compenso pattuito, pari a 6.770 euro. Pianoforte, cugino dei Padovano, avrebbe chiamato Salvatore fuori dalla pescheria di famiglia “dicendogli che una persona gli aveva tamponato la macchina”. In realtà, ad attenderlo vi era Mendolia che l'avrebbe freddato con quattro colpi sparati con una pistola “Beretta modello 83 F”.

Diversa la versione fornita da Rosario Padovano, reo confesso dell’omicidio, per cui si sarebbe trattato soltanto di “una vicenda familiare”, in cui lui è stato il mandante e Mendolia l’esecutore materiale.

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