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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca Copertino

Omicidio dell’ex carabiniere, la figlia dell’imputato: “Mio padre voleva solo la mia felicità”

Ascoltata in aula, Elisabetta Aportone ha dichiarato che il padre Michele non avrebbe mai interferito nel suo rapporto con la vittima e che avrebbe sollecitato la madre a non intromettersi

COPERTINO - Suo padre non si sarebbe mai intromesso nella relazione con Silvano Nestola. Anzi. Avrebbe sollecitato la madre a fare altrettanto: “Se è felice, lasciala in pace”. 

Sono questi alcuni dei passaggi cruciali della deposizione di uno dei principali testimoni ascoltati oggi nel processo sull’omicidio dell’ex carabiniere di 45 anni, assassinato la sera del 3 maggio del 2021, mentre lasciava casa della sorella col figlio di undici anni, a Copertino. Stiamo parlando di Elisabetta Aportone, la figlia  di Michele, il 71enne di San Donaci, unico imputato per il delitto.

Secondo l’accusa, l’anziano avrebbe agito proprio perché non accettava il legame della vittima con la figlia - all’epoca dei fatti 37enne e fresca della separazione con il coniuge - nella cui autovettura piazzò, a sua insaputa, un gps proprio per monitorare ogni spostamento, insieme alla consorte, Rossella Manieri (inizialmente indagata in concorso nell’omicidio, ma la cui posizione fu poi definitivamente archiviata).

In soli 35 giorni (dal 27 marzo al 2 maggio del 2021) la posizione della vettura fu controllata 571 volte dall’utenza in uso a Manieri (più di sedici volte al giorno, una volta ogni ora e mezza) e 134 dall’utenza in uso al 70enne (quasi quattro volte al giorno).

La difesa, rappresentata dall’avvocata Francesca Conte, ha sempre sostenuto che le interferenze della famiglia fossero motivate da una ragionevole preoccupazione, scaturita da alcuni gravi problemi avuti dalla figlia nel 2014, con strascichi anche nel presente. Circostanza questa confermata dalla stessa donna, dinanzi alla Corte d’Assise di Lecce, composta dal presidente Pietro Baffa, dalla collega Maria Francesca Mariano e dai giudici popolari.

La teste, in considerazione del rapporto di parentela con l’imputato (che oggi non era in aula) avrebbe potuto avvalersi della facoltà di non rispondere e invece ha scelto di parlare. Ha ricostruito il suo rapporto con Nestola, dal momento della loro conoscenza, nel luglio del 2020, sino all’ultimo giorno in cui lo vide, il 30 aprile del 2021, riferendo delle interferenze della madre che temeva potesse vivere “una delusione d’amore”, tanto da sollecitarla a chiudere la nuova relazione e a ritornare con il marito.

A riferire dell’atteggiamento invadente di Rossella Manieri sono stati altri due testi: un'amica di Elisabetta Aportone e un carabiniere, ex collega della vittima. La prima ha raccontato che la donna l’avrebbe contattata al telefono almeno tre volte, manifestandole preoccupazione per la figlia e per il suo legame con Nestola, di cui avrebbe cercato di avere informazioni  e avrebbe definito come uno “sfascia famiglie”; le avrebbe inoltre chiesto di aiutarla a tenere unita la famiglia, consigliando nel modo “giusto” Elisabetta.

Il militare ha riferito che l'ex collega gli raccontò delle “piazzate” di Manieri in casa sua per sollecitarlo a chiudere la relazione e delle sue difficoltà nel mettere fine alla storia, considerato che Elisabetta Aportone continuava a cercarlo.

Tra gli altri testi ascoltati oggi, anche la sorella della vittima che ha raccontato di aver visto Elisabetta solo un paio di volte, al mare, l’ultima delle quali le fu presentata dal fratello. Quest’ultimo si limitò a confidarle, senza scendere nei dettagli, di avere intrapreso una conoscenza con lei, ma che si trattava di un rapporto “complicato” destinato a finire.

Nella prossima udienza, fissata per il 2 maggio, dovrebbero concludersi le deposizioni dei testi scelti dal pubblico ministero Alberto Santacatterina. 

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