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Cronaca Taurisano

Omicidio Attanasio, a Taranto il nuovo appello per l'ex infermiera

La sentenza della Cassazione riaccende la speranza di Lucia Bartolomeo, l'infermiera di 36 anni di Taurisano accusata dell'omicidio del marito, Ettore Attanasio, avvenuto il 30 maggio del 2006

ROMA – La sentenza, pronunciata poco dopo le 19, riaccende un raggio di speranza nella vita di Lucia Bartolomeo, l'infermiera di 36 anni di Taurisano accusata dell’omicidio del marito, Ettore Attanasio, avvenuto il 30 maggio del 2006. La Corte di Cassazione, infatti, ha disposto che venga celebrato un nuovo processo d’appello, questa volta a Taranto, annullando la condanna alla pena dell’ergastolo emessa il 12 maggio del 2010 dai giudici della Corte d’assise d’appello di Lecce. Si tratta di una vera e propria svolta a livello processuale che premia, in attesa di conoscere le motivazioni della sentenza, la linea difensiva dei legali della Bartolomeo, gli avvocati Pasquale Corleto e Silvio Caroli. La stessa imputata, del resto, aveva più volte auspicato (anche dopo la lettura della sentenza d'appello) che un nuovo processo fosse celebrato in un'altra sede.

L’accusa nei confronti della donna è di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, dall’aver agito col mezzo di sostanze venefiche e nei confronti del coniuge. Secondo l'ipotesi accusatoria sarebbe stata l’ex infermiera a iniettare volontariamente una dose letale di eroina al marito. Una tesi che sarebbe supportata dalle perizie depositate dai consulenti nominati dai giudici e da alcuni sms che la donna avrebbe inviato al cellulare dell'amante (al quale più volte aveva raccontato, mentendo, che il consorte era malato di cancro). In quei messaggi la 34enne avrebbe dato per imminente la morte del marito, affermando che si trattava di “una questione di ore” poiché era in stato di coma e veniva alimentato con delle flebo. Secondo l’accusa il movente dell’omicidio è legato proprio alla relazione extra coniugale che la donna aveva intrapreso, e la conseguente paura che una separazione la privasse dell’affidamento della figlia.

La difesa della Bartolomeo aveva presentato ricorso dopo la decisione della  Corte d’assise d’appello di Lecce, che aveva confermato la pena dell’ergastolo, già emessa in prima grado. I giudici avevano negato all’imputata le attenuanti, in contrasto sia con le aggravanti sia con l’atteggiamento della Bartolomeo, ritenuto assai poco collaborativo. I legali avevano definito il processo a carico della loro assistita come indiziario e privo di un valido movente. La sola relazione extraconiugale intrapresa dalla 34enne, o il timore di un'eventuale separazione, non appaiono come argomentazioni valide a sostenere il movente di un omicidio. "Laida ma non assassina" aveva definito la sua assistita l'avvocato Pasquale Corleto, decano dei penalisti salentini, sottolineando come fosse assolutamente necessario scindere la morale dalle accuse nell'ambito del processo. La difesa ha sempre sostenuto come la tesi accusatoria, inoltre, non sarebbe stata supportata da riscontri e prove scientifiche inconfutabili. Nessuna perizia, infatti, sarebbe stata eseguita sulla flebo che l'imputata avrebbe utilizzato per somministrare la dose letale di eroina. Sostanza che, scrivono i legali nelle motivazioni d'appello, Attanasio potrebbe aver assunto da solo. I riscontri tossicologici eseguiti sul cadavere a distanza di mesi, inoltre, non avrebbero chiarito la quantità di eroina presente nel corpo dell'uomo. A carico della Bartolomeo, dunque, vi sarebbero prove non sufficienti, per i due legali, a provare la colpevolezza della loro assistita al di là di ogni ragionevole dubbio.

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