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Cronaca

Omicidio Basile, nessun elemento nuovo dal collaboratore di giustizia

Dopo Giovanni Vaccaro, è lo stesso Massimo Donadei, il 36enne considerato vicino alla Scu e divenuto collaboratore di giustizia, a confutare la pista alternativa sull'omicidio Basile, il consigliere dell'Italia dei Valori assassinato a Ugento la notte tra il 14 e il 15 giugno del 2008

LECCE – Tanto rumore per nulla. Dopo Giovanni Vaccaro, è lo stesso Massimo Donadei (nella prima foto), il 36enne considerato vicino alla Scu e divenuto collaboratore di giustizia, a confutare la pista alternativa sull'omicidio Basile, il consigliere dell'Italia dei Valori assassinato a Ugento la notte tra il 14 e il 15 giugno del 2008. Ancora una volta, come nel caso di Vaccaro, la vicenda ruota attorno a Giorgio Pio Bove (nella seconda foto), e una lettera spedita da quest’ultimo a Donadei in cui si sarebbe fatto riferimento all’omicidio Basile e a due presunti sicari albanesi.

Sentito in videoconferenza da una località protetta in cui si trova, nel corso del processo che vede imputato Vittorio Colitti senior, il 36enne ha dichiarato di non essere a conoscenza e di non aver mai avuto alcun ruolo nell’omicidio Basile. Ancora una volta, dunque, Bove (che nella lettera chiedeva al presunto boss di dare una lezione a un uomo di Parabita) viene tratteggiato come una sorta di visionario e millantatore.

Nel processo a Vittorio Colitti junior (assolto con sentenza definitiva) era stato il presunto collaboratore di giustizia Vaccaro (mai ammesso al programma di protezione) a fornir eprime e poi a smentire con le proprie dichiarazioni una ricostruzione alternativa dell’omicidio di Basile. In particolare, di essersi adoperato in prima persona per fare un piacere a un amico, un imprenditore leccese, e “dare una lezione a Basile” e per fare ciò si sarebbe rivolto a un suo sottoposto, Pio Bove.

DONADEI_Massimo-3Questi, a sua volta, avrebbe utilizzato "due cittadini extracomunitari, di nazionalità albanese, che non avrebbe avuto difficoltà a reclutare e che poi avrebbe fatto sparire in mare”. Dichiarazioni che, è giusto ricordarlo, sono state già ritenute dalla Procura del capoluogo salentino assolutamente irrilevanti e poi smentite dallo stesso protagonista, che ha dichiarato di essersi confuso sulla persona di Basile.

Il processo volge ormai alle battute finali, il 2 dicembre è prevista la requisitoria dell’accusa e l’arringa della difesa dell’imputato, assistito dall’avvocato Francesca Conte. Vittorio Luigi Colitti, invece, è stato assolto per ben due volte. La sentenza è diventata definitiva irrevocabile il 28 maggio 2013. Rimangono molti dubbi attorno alla ricostruzione fatta dall’accusa. Innanzitutto sul movente, quello dei contrasti tra vicini, apparso subito fragile e che non ha mai avuto riscontri. Così come la ricostruzione dell’omicidio e il ruolo dei presunti assassini, che continuano ad apparire piuttosto complessi. Labile e poco credibile anche la figura della presunta baby testimone del delitto, già smentita dai giudici.

2BOVE_PIO_GIORGIO-2Al di là di ogni sentenza e ogni verdetto, restano le verità nascoste di chi ha visto e ha taciuto, di chi pur sapendo non ha parlato, di chi ancora considera la legge come una rete fastidiosa in cui è troppo facile  e scomodo rimanere impigliati. L’omicidio Basile ricalca alla perfezione il più classico dei copioni di quella provincia addormentata, dove il delitto sembra la più semplice delle cose. Quelle coltellate e quel sangue rimangono, però, una ferita aperta nella voglia di giustizia e verità di tanta altra gente che non vuole dimenticare.

Quella dell’omicidio di Giuseppe Basile, infatti, è divenuta prima un’inchiesta e poi un processo che, come spesso accade, ha proiettato sul palcoscenico di un’aula di Tribunale, la storia, i vizi e le virtù di un’intera collettività. La morte di Peppino Basile, il muratore divenuto politico, metà Masaniello e metà Don Chisciotte, uomo dalle mille battaglie, osteggiato e spesso deriso, è sembrata quasi un peso fastidioso per la comunità ugentina e non solo. Quello sull’omicidio di Peppino Basile è diventato, udienza dopo udienza, molto più di un processo.

Un viaggio attraverso il substrato sociale di un Sud profondo e pieno di contraddizioni, in cui la verità sembra cambiar forma in ogni istante. Un viaggio alla scoperta della vita di un piccolo paese del basso Salento, pieno di silenzi e verità sospese a metà. Non sono bastati due processi, centinaia di ore di dibattimento e decine di testimonianze per squarciare il velo di silenzi e omertà che da subito è calato sull’omicidio. Un processo che si è trasformato nel viaggio a ritroso dentro il ventre di un Salento arcaico e di una terra che Sciascia avrebbe descritto proprio come la sua Sicilia. Un delitto ancora senza colpevoli, molto più complesso di quello che si è immaginato. Peppino, forse, ha pagato a caro prezzo le sue battaglie e la voglia di non fare mai un passo indietro.

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