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Giovedì, 18 Aprile 2024
Cronaca Melpignano

Omicidio Blasi: confermata in Cassazione la condanna a 18 anni

I giudici della prima sezione della Corte di Cassazione hanno confermato la sentenza d'appello nei confronti di Luigi Pasquale Blasi, il meccanico 55enne accusato dell'omicidio del nipote Antonio, avvenuto il 20 dicembre del 2007

 

LECCE – I giudici della prima sezione della Corte di Cassazione hanno confermato la sentenza d’appello nei confronti di Luigi Pasquale Blasi, il meccanico 55enne accusato dell'omicidio del nipote Antonio, avvenuto nella notte tra il 20 e il 21 dicembre del 2007 nelle campagne di Melpignano. Ad aprile 2011, la Corte d’assise d’appello di Lecce aveva condannando l’imputato a diciotto anni di reclusione (in primo grado la pena inflitta era stata di 20 anni). Secondo i giudici della Suprema Corte Blasi è colpevole di omicidio aggravato, ricettazione, detenzione e porto illegale d’arma comune da sparo con matricola abrasa. Il procuratore generale aveva chiesto di riconoscere l'infermità mentale del 55enne. Ipotesi rigettata dai giudici.

A scatenare la rabbia assassina dell’imputato sarebbe stato un odio feroce maturato in anni di dissidi e di contrasti, di screzi familiari legati alla proprietà di alcuni terreni confinanti. Quella notte di dicembre di oltre quattro anni fa Blasi avrebbe sorpreso il nipote sul terreno del figlio Vittorio. Un episodio da cui sarebbe scaturito inizialmente un diverbio e poi una colluttazione così violenta da provocare la morte del 33enne, colpito prima da un colpo di fucile al braccio e poi con violenza feroce al volto dal manico del fucile (tanto da spezzarlo in due) da caccia dell'assassino, che si era inceppato dopo il primo colpo. Pasquale Blasi si costituì pochi giorni dopo, nel pomeriggio della vigilia di Natale, presso la stazione dei carabinieri di Corigliano d'Otranto, sotto consiglio dei suoi legali. Al termine delle lunghe ore d’interrogatorio il meccanico di Melpignano confessò l'omicidio, accusando il nipote di aver cercato di colpirlo e di averlo provocato.

In appello i giudici avevano già escluso, oltre alle circostanze aggravanti dei motivi futili e dell’aver agito con sevizie e crudeltà verso la persona, anche l’aggravante della premeditazione, riconoscendo le circostanze attenuanti generiche della provocazione e del vizio parziale di mente. L’imputato era difeso dagli avvocati Pasquale Corleto e Salvatore Abate. I familiari della vittima si erano costituiti parte civile con gli avvocati Francesca Conte e Antonio Amato.

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