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Cronaca

Omicidio Caretto, il suo legale: "Dopo una vita di disperazione e dolore merita un po' di oblio"

Dopo le polemiche e il clamore mediatico seguito all’assoluzione in appello di Enzo Caretto, il pensionato che uccise a Guagnano a coltellate il figlio Giovanni, è l’avvocato Sabrina Conte, uno dei legali dell’uomo, a fare chiarezza e alcune doverose precisazioni sulla complessa vicenda giudiziaria

LECCE – Dopo le polemiche e il clamore mediatico seguito all’assoluzione in appello di Enzo Caretto, il pensionato 72enne che uccise a Guagnano a coltellate il figlio Giovanni, 32enne, al culmine di una lite familiare, è l’avvocato Sabrina Conte, uno dei legali dell’uomo, a fare chiarezza e alcune doverose precisazioni sulla complessa vicenda giudiziaria. I giudici hanno annullato la condanna a trent’anni inflitta in abbreviato sulla base della consulenza redatta dallo psichiatra Domenico Suma e dal medico legale Roberto Vaglio, che hanno stabilito che l’uomo era totalmente incapace di intendere e di volere al l’epoca dei fatti. La consulenza è stata disposta su istanza dei legali di Caretto, gli avvocati Sabrina Conte e Vincenzo Carbone, che tra i motivi d’appello avevano evidenziato proprio la necessità di sottoporre il loro assistito a una perizia. Caretto è tornato in libertà.

Quella che si consumò in una fredda sera di gennaio del 2012 in via Carlo Alberto Dalla Chiesa, una piccola strada alla periferia di Guagnano (terra di vigneti e negramaro, piccolo comune perso tra le province di Lecce e Brindisi), è una tragedia maturata in un contesto familiare difficile e degradato. Caretto, una vita trascorsa nello stabilimento Fiat-Hitachi del capoluogo salentino, aveva cercato rifugio nell'alcol per sfuggire ai problemi di una vita difficile, in cui ogni giorno doveva combattere con le gravi patologie di cui erano affette la moglie e la figlia disabile.

“Enzo Caretto è un uomo gravemente malato anche e soprattutto a causa dell’alcolismo – spiega l’avvocato Conte –, piaga che ha accompagnato la sua vita negli ultimi trentacinque anni. Ma non si può affermare che abbia dato volontariamente origine alla sua dipendenza, poiché coinvolto in un ingranaggio molto più grande di lui che, lasciato completamente a se stesso, non ha potuto validamente affrontare, arrendendosi alla disperazione con fughe quotidiane nell’alcol”.

“L’assoluta latitanza dei servizi sociali e la carenza cronica di un valido aiuto sanitario a quest’uomo in così gravi, quotidiane e inesorabili difficoltà, lo hanno condotto oltre quella soglia di non ritorno – spiega la penalista leccese –“.

Ci sono volute due perizie per dimostrare, oltre ogni dubbio, che il 72enne era incapace di intendere e di volere quella maledetta notte in cui ha ucciso il suo amato Giovanni, e nove mesi per accertare che le sue condizioni erano incompatibili con il regime carcerario. “E’ paradossale – conclude l’avvocato Sabrina Conte – che quest’uomo che per decenni ha vissuto soltanto in compagnia della sua disperazione, dimenticato da tutti quando lottava con l’alcolismo e le gravissime, molteplici disgrazie familiari, sia stato oggetto di tanta attenzione adesso. Meriterebbe, a questo punto, l’oblio”.

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