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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

Omicidio della piccola Angelica, chiesto il processo per uno dei presunti assassini

Il pubblico ministero Giuseppe Capoccia ha chiesto il rinvio a giudizio per Biagio Toma, il 47enne accusato di essere uno dei presunti autori materiali di uno dei delitti più atroci e crudeli mai avvenuti nel Salento. Toma è accusato di aver massacrato una bimba di poco più di due anni, Angelica Pirtoli, prima ferita e lasciata agonizzante sul cadavere della madre

LECCE – Il pubblico ministero Giuseppe Capoccia ha chiesto il rinvio a giudizio per Biagio Toma, il 47enne accusato di essere uno dei presunti autori materiali di uno dei delitti più atroci e crudeli mai avvenuti nel Salento. Toma è accusato di aver massacrato una bimba di poco più di due anni, Angelica Pirtoli, prima ferita e lasciata agonizzante sul cadavere della madre (assassinata a colpi di fucile), e poi, a distanza di poco più di un’ora, afferrata per un piedino, quello già ferito, e sbattuta ripetutamente contro un muro, come un pupazzo gettato via dopo un gioco perverso e crudele. Paola Rizzello (di appena 27 anni) e sua figlia Angelica furono uccise la sera del 20 marzo 1991. Un duplice omicidio legato alla criminalità organizzata e alla Sacra corona unita. Uno dei delitti di mafia più feroci nella storia del crimine.

Toma, assistito dal suo legale, l’avvocato Walter Zappatore, si è avvalso della facoltà di non rispondere nell’interrogatorio fissato dopo l’avviso della conclusione delle indagini preliminari. Il fascicolo è ora nelle mani del gip che dovrà fissare l’eventuale udienza preliminare.

Sono state le caparbie e puntuali indagini dei carabinieri del Ros di Lecce (guidati dal colonnello Paolo Vincenzoni e dal capitano Marco Ancora) a portare alla nuova un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Simona Panzera nella nuova inchiesta coordinata dal sostituto procuratore Giuseppe Capoccia, pubblico ministero anche nel processo che portò alla condanna dei mandanti di quel duplice omicidio. Gli uomini del Ros (Raggruppamento Operativo Speciale) hanno pazientemente ricostruito le fasi di quel terribile duplice omicidio, trovando riscontri, elementi probatori e conferme alle parole di uno dei due assassini, anche sulla base delle dichiarazioni di un altro collaboratore di giustizia, quel Massimo Donadei che a maggio 2011 fu arrestato dai carabinieri di Casarano nel blitz dell’operazione Bamba. Nel corso delle indagini emerse anche un traffico internazionale di armi che sarebbero servite, secondo gli investigatori dell'Arma, per pianificare proprio l'omicidio di Biagio Toma, definito un rivale del clan Donadei di Parabita. Il 15 dicembre 2009, presso il valico doganale con la Svizzera, nel comasco, fu intercettato un carico di armi destinato al Salento, proprio per compiere, secondo gli inquirenti, l’attentato a Toma. I militari sequestrarono una pistola, due fucili a pompa e un centinaio di munizioni da guerra e da caccia.

Significative le parole del gip nell’ordinanza: “… Il lungo lasso di tempo trascorso dai fatti (…) non può velare l'abominio compiuto. Nella storia criminale nazionale non si ricordano condotte comparabili con quelle tanto sprezzanti del dolore innocente di una bambina di due anni, rimasta ferita in maniera non grave al piedino, lasciata disperata, nottetempo al buio in campagna, accanto al cadavere della madre ammazzata (un teste aveva ricordato di aver udito nel buio un cagnolino che ululava!) e quindi uccisa, senza nemmeno la pietà che si usa verso gli ovini”. “I mandanti dell'omicidio della Rizzello – scrive il gip –scontano già da anni la giusta pena dell'ergastolo. Sino ad ora era mancata alla parola di Luigi De Matteis (reo confesso) il riscontro idoneo a concretizzare l'accusa contro Biagio: Toma (…) le inaspettate conferme degli ultimi mesi … consentono finalmente di avanzare una richiesta cautelare che attenui l’orrore dell’intera comunità salentina. …”.

Già condannati all’ergastolo (con sentenza divenuta definitiva dopo il pronunciamento della Cassazione nel 2003) i mandanti di quell’omicidio: Luigi Giannelli, 56 anni; sua moglie Anna De Matteis, 52enne e Donato Mercuri, 51 anni, uomo di fiducia del boss Giannelli, una nuova inchiesta potrebbe scrivere la parola fine in questa terribile vicenda.

Fu proprio De Matteis (fratello di Anna e cognato di Giannelli) a raccontare il 25 maggio del 1999, in una lunga e spietata deposizione dinanzi ai giudici della Corte d’Assise di Lecce, i particolari del duplice omicidio che pesava come un macigno sulla sua coscienza: “Già quando stavo fuori stavo pensando su questo fatto, ciè nnu la facia chiui cu tegnu questo segreto qua, anche perché ci ho due figlie ed ogni volta che io le guardavo..”. Un chiamata in correità che, dopo tanti anni, ha portato all’arresto di Toma.

Paola Rizzello divenne l’amante di Giannelli nella prima metà degli anni Ottanta, ma dopo qualche tempo si legò a un altro uomo, uno del suo paese, Luigi Calzolari. Fu una storia breve perché nel 1985 Calzolari fu ucciso. Paola sospettò che a ordinare l’omicidio dal carcere fosse stato proprio Giannelli, e cominciò a fare domande in giro, a cercare di incastrare l’ex amante. Il boss scoprì quasi subito le sue intenzioni e decretò che quella ragazza doveva essere eliminata. Decisone inappellabile, secondo il codice di tutte le mafie, cui si aggiunse quella della moglie del boss, “Anna morte” che, scoperto il tradimento, prima affrontò la ragazza, la insultò e la minacciò, quindi disse che voleva vederla morta. L’ordine di uccidere Paola Rizzello fu impartito da Luigi Giannelli, all’epoca detenuto a Lecce per fatti estorsivi, durante un colloquio in carcere con la moglie Anna De Matteis, che lo trasmise a Donato Mercuri, persona incaricata di eseguire materialmente l’omicidio.

Mercuri, per precostituirsi un alibi, individuò come data dell’esecuzione la sera in cui sarebbe stata disputata un’importante partita di calcio, di cui era notoriamente appassionato e a sua volta affidò, secondo la ricostruzione di Luigi De Matteis, a lui e a Toma il compito di portare a termine il progetto di morte. La sera del 20 marzo 1991 i due attesero la donna sulla strada che conduceva alla sua abitazione e seguirono la Panda Rossa su cui viaggiava. La donna, che di lui si fidava, si presentò all’appuntamento con Angelica in braccio e salì a bordo della sua Alfa 75. Condussero Paola Rizzello e la figlia in una casa nelle campagne di Matino, dove era stato nascosto un “fucile da caccia con quattro cartucce a pallini”.

De Matteis puntò l’arma contro la donna, che affrontò con coraggio e spavalderia i suoi assassini: “Non mi fai paura, disse e fece un gesto con la mano, come per scostare la canna del fucile puntata contro di lei”. In quel momento De Matteis esplose il primo colpo che colpì la Rizzello “nella pancia”, attingendo di striscio anche la bambina al piede destro e facendole saltare via la scarpina. Il secondo colpo fu esploso per essere certo che la Rizzello fosse morta, a una distanza di circa un metro, nella regione del petto più vicina al collo. I due assassini si allontanarono dal luogo del delitto, lasciando la bimba ferita e in lacrime. Poi, su ordine dello stesso Mercuri (“Se trovano la bambina in quelle condizioni, automaticamente si capisce che alla madre le è successo qualcosa, qualcosa di brutto … No la bambina non si può lasciare. Voi sapete cosa dovete fare”, avrebbe detto l’uomo) tornarono indietro, perché a due anni e mezzo una bimba può parlare e soprattutto ricordare.

Il 25 maggio 1999, poco dopo mezzogiorno, De Matteis svelò, in un’aula di Corte d’Assise attonita, dove rabbia e indignazione si mischiarono alle lacrime, i particolari dell’assurda inaudita ferocia con cui fu ammazzata la piccola Angelica: “Biagio Toma è sceso dalla macchina, ha preso la bambina per i piedi e l'ha sbattuta quattro-cinque volte vicino al muro e niente, cioè era morta la bambina”. Angelica, ferita a un piede e in lacrime, fu assassinata con una crudeltà inaudita. Il racconto dell’orrore proseguì, svelando i particolari con cui i due si erano liberati dei cadaveri, dopo averli bruciati: “Abbiamo preso la Rizzello, che era bruciata e quando l'abbiamo presa si è spezzata in due e l'abbiamo buttata nella cisterna”. Il “pentito precisò che “Toma la teneva dalle braccia e lui per i piedi, lo scheletro si spezzò all’altezza del bacino e per terra era rimasta della pelle incollata”. Poi fu la volta della bimba: “C'era la bambina... siccome lì vicino c'erano dei sacchetti di plastica dei contadini, di concime, cose, si è preso un sacchetto, si è messa la bambina e l'abbiamo portata dove è stata ritrovata”.

I resti della donna furono recuperati il 19 febbraio del 1997, all’interno di una cisterna nel comune di Parabita, in località contrada Tuli (meglio conosciuta come “Santa Teresa”, lungo la strada vecchia per Alezio), dove fu rinvenuto uno scheletro con il solo teschio parzialmente integro ed alcuni monili d’oro. Oltre all’apparato scheletrico, al teschio, a poche ciocche di capelli e ad alcuni oggetti d’oro, furono rinvenute parti di alcuni indumenti femminili: la parte elastica di un reggiseno, due spalline, filamenti di calze collant ed un paio di scarpe del tipo polacchine in camoscio. I successivi accertamenti medico-legali, nonché quelli di odontoiatria forense comparativa, consentirono di affermare che i resti in esame appartenevano in vita proprio a Paola Rizzello, il cui decesso, causato da un colpo d’arma da fuoco esploso in prossimità dell’articolazione sternale, si era verificato in un lasso di tempo compreso tra i 5 e i 10 anni precedenti, quindi compatibile con l’epoca della sua scomparsa, avvenuta il 20 marzo 1991.

Paola era stata gettata, come un fagotto, all’interno della vasca. Fu necessario attendere altri due anni, fino al 5 maggio 1999, per ritrovare i resti di Angelica, proprio grazie alle deposizioni di De Matteis. Per otto anni la sua tomba fu un’anonima collinetta rocciosa spersa nelle campagne di Matino, ai piedi di un pino: un buco profondo due metri e ricoperto di terreno indurito dal tempo. Il corpicino era stato nascosto in un sacco di juta, un fagotto in cui mani feroci avvolsero il corpo di una bambina morta ad appena due anni e mezzo da chi, dopo averla rapita, non sapeva che cosa farne. Fu trovata a un paio di chilometri dalla vecchia cisterna dove avevano recuperato il corpo della mamma.

La nuova inchiesta nasce dunque anche dagli atti processuali che hanno portato alla condanna dei mandanti del duplice omicidio. In quei faldoni si trova la ricostruzione e l’identità dei presunti autori di un delitto feroce. Dopo tanti anni e dopo essere passata su diverse scrivanie, l’inchiesta è tornata allo stesso pubblico ministero che coordinò le indagini che portarono alla condanna del boss e della sua spietata compagna, e del suo luogotenente. Fu proprio il sostituto procuratore Giuseppe Capoccia a raccogliere il “pentimento” di Luigi De Matteis e a dare, attraverso le sue dichiarazioni, una svola alle indagini. Grazie al paziente lavoro d’indagine dei carabinieri del Ros ora il cerchio sembra dunque chiudersi. Per Angelica, vittima innocente delle spietate logiche della criminalità e sua madre Paola, potrebbe esserci finalmente giustizia. 

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