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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca

Omicidio e tortura, sei condanne per la morte di Simone in Messico

Una sentenza storica, in un processo lungo e complesso sotto il profilo giuridico e dei trattati. Pene alte per due vicedirettori del carcere, due guardie e un giudice

LECCE – Una sentenza destinata a entrare nella storia e a dare, se non serenità, almeno un po’ di giustizia a una madre che ha perso un figlio di soli 34 anni. Si è concluso con sei condanne e due assoluzioni il processo di primo grado per l’omicidio diSimone Renda, il bancario leccese di 34 anni deceduto il 3 marzo del 2007, mentre si trovava in vacanza in Messico.

I giudici della Corte d’Assise di Lecce (presieduta da Roberto Tanisi) hanno condannato a 25 anni Arceno Parra Cano, vicedirettore del carcere; Pedro May Balam, vicedirettore del carcere; e il giudice qualificatore Hermilla Valero Gonzalez. Condannati a 21 anni Luis Alberto Landeros, guardia carceraria; Cruz Gomez (responsabile dell’ufficio ricezione del carcere); ed Enrique Sánchez Nájera (guardia carceraria). Assoluzione, invece, per Francisco Javier Frias e Jose Alfredo Gomez, agenti della polizia turistica del municipio di Playa del Carmen. Accolte in gran parte le richieste della pubblica accusa, rappresentata dal sostituto procuratore Angela Rotondano.

Gli imputati, accusati di concorso in omicidio e violazione dell’articolo 1 della Convenzione Onu contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, dovranno anche risarcire le parti civili, assistite dagli avvocati Pasquale e Giuseppe Corleto, e Fabio Valenti, con una provvisionale di 150mila euro per la mamma di Simone, Cecilia Greco, e 100mila euro per Gaetano Renda.

E’ stato un processo lungo e complesso sotto il profilo giuridico e dei trattati. Nel 2010 la Corte messicana ha condannato a 3 anni di reclusione, per i reati di omicidio colposo e abuso di potere, Hermila Valero Gonzalez (una pena commutata in una multa di 9mila pesos). Cruz Gomez (responsabile dell’ufficio ricezione del carcere) e Enrique Sánchez Nájera (guardia carceraria), sono stati condannati a 2 anni e 10 mesi (commutabili in 8mila pesos di multa). Prosciolto, invece, Pedro May Balam, vicedirettore del carcere.

Per questo avevano sollevato il principio del “ne bis in idem”, che ha trovato la precisa e puntuale opposizione dei legali di parte civile, gli avvocati Pasquale e Giuseppe Corleto, e Fabio Valenti, che hanno confutato in una dettagliata e articolata memoria depositata qualche giorno addietro presso la cancelleria della Corte d’Assise di Lecce. L’avvocato Corleto, decano dei penalisti salentini, aveva evidenziato che per quattro degli imputati il principio non può essere sollevato, poiché non son mai stati giudicati, mentre per gli altri quattro “non ha motivo di esistere in mancanza di una specifica convenzione bilaterale o multilaterale che regoli la materia tra i due Stati”. Tesi accolte dai giudici che, con l’acquisizione delle fonti di prova hanno poi dato inizio la processo.

Simone Renda fu arrestato due giorni prima del decesso dalla polizia turistica con l’accusa di ubriachezza molesta e disturbo della quiete pubblica, e rinchiuso in una cella di sicurezza. Al momento dell’arresto il medico in servizio presso il carcere municipale gli aveva diagnosticato un grave stato clinico dovuto a ipertensione e un sospetto principio d’infarto, prescrivendo immediati accertamenti clinici in una struttura ospedaliera. Inspiegabilmente, però, le richieste del medico non furono ascoltate e il turista salentino fu trattenuto in stato di fermo senza ricevere assistenza sanitaria, abbandonato a se stesso.

Senz'acqua e senza cibo per 42 ore, morì completamente disidratato. Sono ormai trascorsi oltre nove anni da quella tragica morte, ma il tempo non ha lenito un dolore troppo da grande da raccontare per chi, come la mamma di Simone, Cecilia Greco (presente anche oggi in aula), in questi lunghissimi giorni non ha mai smesso di lottare e di chiedere giustizia. Per l’accusa fu un omicidio volontario, commesso “sottoponendo Renda a trattamenti crudeli, inumani e degradanti al fine di punirlo per una presunta infrazione amministrativa durante la sua detenzione nel carcere municipale di Playa del Carmen”.

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