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Cronaca

Omicidio Lezzi, uno degli imputati ricorre alla Corte europea dei diritti dell'uomo

Il boss fu ammazzato ad Amsterdam nel 2001. Condannato a 30 anni Andrea Pagliara, carcere a vita per Ivan Nicola Vitale e Orlando Perrone. Secondo i legali di quest'ultimo le accuse si baserebbero solo su dichiarazioni di due pentiti, Cerfeda e Franco

LECCE – Approda dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo uno dei delitti più misteriosi e controversi della storia della criminalità organizzata salentina, quello di Giuseppe Lezzi (alias l’imperatore), assassinato ad Amsterdam a metà novembre del 2001.

Il 10 aprile scorso i giudici della prima sezione della Corte di Cassazione hanno confermato le condanne inflitte in primo e secondo grado a tre degli imputati: trent’anni per il leccese Andrea Pagliara; ergastolo per Ivan Nicola Vitale, di Surbo, e Orlando Perrone, originario del capoluogo salentino. I legali di quest’ultimo, gli avvocati Cosimo Rampino e Gabriele Valentini, hanno presentato al Consiglio d'Europa di Strasburgo un ricorso nel quale chiedono di “condannare lo Stato italiano, per la violazione degli articoli 6, 7 (il diritto a un equo processo e la cosiddetta “nessuna pena senza legge”) e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, e di corrispondere al loro assistito un risarcimento per il danno patito. Il ricorso è stato presentato in applicazione dell'articolo 34 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e degli articoli 45 e 47 del regolamento della Corte.

Innanzitutto i legali mettono in evidenza come le accuse a carico di Perrone abbiano avuto quale unica fonte ed elemento di prova le dichiarazioni rese da due “collaboratori di giustizia”: Filippo Cerfeda e Fabio Franco. Dichiarazioni che sono state ritenute sufficienti a costituire prova della responsabilità dell’imputato secondo il principio della “convergenza del molteplice” (cioè quando risultano concordi le dichiarazioni accusatorie di più pentiti). Ciò, si legge nel ricorso, nonostante le dichiarazioni del secondo dei due fossero state rese a distanza di oltre un anno da quelle del primo, e soprattutto dopo che Franco, come da lui stesso dichiarato nel corso del dibattimento, avesse avuto accesso agli atti processuali nella loro interezza, conoscendo quindi quanto dichiarato in precedenza da Cerfeda.

Nel processo di primo grado, celebrato dinanzi ai giudici della Corte d’Assise di Lecce, vi è stato inoltre il rigetto di tutte le istanze istruttorie della difesa, finalizzate a dimostrare come Perrone non si trovasse in Olanda nel novembre dell’anno 2001. Ancora, non vi è stato alcun accertamento, da parte degli inquirenti (anche olandesi), sul luogo di sepoltura del cadavere e sulla presenza di tracce ematiche sul luogo del presunto omicidio (il corpo di Giuseppe Lezzi non è mai stato ritrovato). Riscontri che avrebbero potuto in astratto “contraddire e smentire quanto dichiarato dai due 'collaboratori di giustizia' sia in generale che con riferimento alla posizione del ricorrente”. In particolare la Corte non ha voluto sentire come testi gli appartenenti alla polizia olandese che avevano condotto le indagini, e ha rigettato la richiesta di effettuare un sopralluogo sul luogo dove sarebbe stato sepolto il cadavere della vittima al 'collaboratore di giustizia' Fabio Franco.

“Inoltre – si legge ancora nel ricorso – la lista testimoniale presentata dalla difesa è stata letteralmente 'falcidiata' dalla Corte di Assise, a fronte dell’ammissione nella sua integralità della lista depositata dal pubblico ministero. Da ultimo, il processo per l’omicidio commesso in Olanda è stato celebrato in Italia ai sensi dell’articolo 9 del codice penale (che prevede la punibilità secondo la legge italiana per i delitti commessi dal cittadino italiano all’estero per i quali è stabilita la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel minimo ad anni tre, sempre che il colpevole si trovi nel territorio dello Stato)”.

Un principio che, sottolineano i legali, deve riguardare anche le eventuali circostanze aggravanti e la pena stessa, componente essenziale del reato ed anch’essa tutelata dal principio di legalità. In buona sostanza, per un fatto commesso in uno Stato estero, il cittadino, pur giudicato in Italia, può subire condanna solo se essa è prevista anche nello Stato estero come reato in tutte le sue componenti e non può subire una condanna più grave di quella massima prevista per il fatto analogo dall’ordinamento dello Stato estero. In realtà, la circostanza aggravante dell’avere agito con metodo mafioso, contesta a Perrone, non esiste nell’ordinamento olandese, né esistono norme di contenuto analogo, da poter essere equiparate.

Discorso analogo per la pena dell’ergastolo. Infatti, il reato di omicidio per la legge penale olandese è punito con la pena massima dell’ergastolo convertibile in vent’anni, senza la possibilità di revoca della conversione. Tuttavia, i giudici Italiani hanno tenuto conto e applicato la norma sostanziale italiana, anziché quella olandese, più favorevole all’imputato. Tutti elementi che dimostrerebbero come Orlando Perrone non abbia avuto un equo processo. La Corte europea, che ha sede a Strasburgo (nel Palazzo dei diritti dell'uomo disegnato dall'architetto britannico lord Richard Rogers nel 1994), dovrà ora decidere se ammettere il ricorso ed eventualmente ritenerlo fondato nel merito.

L'omicidio di Lezzi, come detto, è avvolto da un alone di mistero che neanche le dichiarazioni di due collaboratori di giustizia del peso di Cerfeda e Franco, e le sentenze ormai divenute definitive, hanno squarciato del tutto. Un delitto maturato, secondo gli inquirenti, nella sanguinosa lotta per il controllo del territorio e dei traffici illeciti da parte di opposte fazioni della Scu salentina. Fu lo stesso Cerfeda, in un interrogatorio fiume avvenuto nel carcere romano di Rebibbia, il 6 agosto del 2003, a raccontare i particolari dell’omicidio “dell’Imperatore”, riempiendo un block-notes di quasi 200 pagine.

Giuseppe Lezzi, originario di Cavallino, ricopriva uno dei massimi ruoli della quarta mafia. La coabitazione tra Cerfeda e Lezzi, durò però molto poco. L'ex primula rossa, in regime di “libertà limitata”, nonostante le condanne rimediate in Olanda, riuscì a fuggire, mentre era in corso la procedura di estradizione. Secondo Franco, fu Cerfeda a ordinare l'esecuzione, a causa di dissensi con Lezzi sulla gestione del traffico di droga, dovute alla superiorità di grado nella scala gerarchica del boss originario di Cavallino, e che il mandante del delitto avrebbe tollerato sempre meno.  Lezzi cadde in un'imboscata dopo essere stato convocato telefonicamente a casa di Cerfeda, per discutere di una fornitura di droga proveniente dal Brasile.

Ad attenderlo, nell’appartamento nella centralissima via Churchill ad Amsterdam, un gruppo composto da Ivan Vitale, Filippo Cerfeda, Andrea Pagliara e Orlando Perrone. Fabio Franco avrebbe aperto il fuoco con una pistola dotata di silenziatore. Il corpo di Lezzi sarebbe stato avvolto prima in una busta di spazzatura e poi in un tappeto persiano e trasportato a Bolistein, alla periferia di Amsterdam. Prima di essere seppellito in un bosco sotto un terreno di sabbia, il cadavere fu spogliato di ogni oggetto personale. Il corpo non è stato mai ritrovato dagli inquirenti, nonostante Franco abbia disegnato una piantina per indicare il luogo in cui il corpo di Lezzi sarebbe stato abbandonato.

Nei confronti di Cerfeda la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la condanna a 18 anni emessa dalla Corte d’assise d’appello di Lecce, stabilendo che debba esser celebrato un nuovo processo a Taranto.

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