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Cronaca

Omicidio Petrachi, la difesa di Camassa: "Non c'è un movente"

Torna in aula, dinanzi ai giudici della Corte d'assise d'appello di Lecce il processo a Giovanni Camassa, il 43enne accusato dell'omicidio di Angela Petrachi, avvenuto il 26 ottobre del 2002. Oggi, la parola è toccata alla difesa

 

LECCE – Torna in aula, dinanzi ai giudici della Corte d’assise d’appello di Lecce il processo a Giovanni Camassa, l'agricoltore 43enne originario di Melendugno, già assolto in primo grado "per non aver commesso il fatto", accusato dell'omicidio di Angela Petrachi, avvenuto il 26 ottobre del 2002 nelle campagne di Borgagne, frazione di Melendugno. Un omicidio particolarmente efferato. La donna, 31 anni, separata e madre di due figli, uscì dalla casa dei genitori nel primo pomeriggio di quel lontano 26 ottobre 2002. Poi, scomparve nel nulla. Il cadavere di Angela Petrachi fu ritrovato, infatti, solo la mattina dell'8 novembre in un boschetto da un cercatore di funghi. Il medico legale stabilì che la donna era stata violentata, strangolata con i suoi slip e seviziata con la lama di un coltello.

Oggi, dopo la richiesta di condanna all’ergastolo formulata nella scorsa udienza dal procuratore generale Giuseppe Vignola, la parola è toccata alla difesa dell’imputato, “un mite uomo di terra”: gli avvocati Donato Amato e Francesca Conte. La penalista, nella prima parte di un’arringa articolata e puntuale, ha spiegato come il movente dell’omicidio sia inesistente. Non sarebbe mai stato concordato, infatti, alcun incontro per l’acquisto di un cane, come sostenuto dall’accusa. Nella denuncia di scomparsa non vi è alcun riferimento, né nella successiva integrazione. La vicenda relativa al cane emergerebbe sol alcuni mesi dopo. Quel pomeriggio Angela Petrachi avrebbe dovuto incontrare, con ogni probabilità, due amiche. Una testimone, ritenuta inspiegabilmente inattendibile ha spiegato la difesa, vede alle 14.50 la donna salire su una Lancia Thema blu. L’avvocato Conte ha poi evidenziato come i rapporti tra la 31enne e l’ex marito fossero a dir poco burrascosi, tanto che la stessa aveva in passato presentato una querela nei suoi confronti. Appare singolare, secondo la nota penalista leccese, come l’alibi dell’uomo sia stato verificato telefonicamente, contattando una donna che, secondo la sua versione, era con lui quel pomeriggio.

Secondo l’accusa, invece, l’imputato avrebbe concordato con la vittima un appuntamento per discutere i dettagli dell'acquisto di un cane. Dopo l'incontro tra i due, però, la situazione sarebbe degenerata e l'uomo avrebbe violentato la donna. Poi, avrebbe le avrebbe avvolto gli slip attorno al collo e l'avrebbe strangolata, infierendo sul cadavere. "Camassa - ha spiegato il procuratore generale - infierisce per riaffermare la propria virilità e per far cadere i sospetti su un maniaco". Il procuratore generale ha analizzato e confutato l'alibi dell'imputato, dimostrando, attraverso riscontri di natura tecnica che, secondo il pubblico ministero hanno evidenziato come le "risultanze delle consulenze di parte siano prive di significato", che l'imputato e la moglie non erano insieme in quel tragico pomeriggio macchiato di sangue. Camassa, infatti, ha sempre affermato che quel tragico giorno di ottobre era proprio in compagnia di quella che sarebbe poi divenuta sua moglie, Moira Flamini.

Una tesi confermata anche dalla donna, già accusata di favoreggiamento e per cui l'accusa ha chiesto una condanna a due anni di reclusione. Gli accertamenti compiuti sui cellulari avrebbero però stabilito che le due utenze telefoniche si sono agganciate a due celle differenti, distanti ben otto chilometri. In particolare quello di Camassa alla cella di Melendugno, ovverosia dove fu ritrovato il cadavere. Quello della sua compagna invece si sarebbe "appoggiato" sulla cella relativa al territorio di Martano. Un dato per l'accusa che avvalorerebbe l'ipotesi che la coppia non fosse nello stesso posto. Di parere opposto il consulente della difesa: secondo l'esperto nominato dal collegio difensivo, infatti, è possibile che i cellulari di due individui che si trovano nello stesso momento nello stesso luogo, si possano agganciare a due celle diverse, fino a una distanza di circa 30 chilometri.

L’udienza è stata aggiornata per dar modo alla difesa di concludere l’arringa difensiva, poi i giudici si riuniranno in camera di consiglio per mettere la sentenza.

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