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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca Casarano

Omicidio Potenza: indagini serrate. Il sindaco: "Casarano non è mafiosa"

Mentre si scava nel passato e nel presente della vittima, in città l'amministrazione Stefàno va all'attacco della giornalista

LECCE – Proseguono senza sosta le indagini sull’omicidio di Augustino Potenza, il 42enne assassinato nel parcheggio di un centro commerciale a Casarano.

I carabinieri del comando provinciale e del Ros, stanno analizzando ogni minimo dettaglio e ogni singola traccia. Si incrociano e si analizzano le testimonianze (ben poche per la verità) dei presenti in quel pomeriggio di sangue. Qualcuno ha dichiarato di aver sentito un chiaro accento salentino da parte degli assassini, circostanza che sposterebbe le ricerche su killer locali.

I militari hanno battuto a lungo l’intera zona, eseguendo perquisizioni e controlli su tutto il territorio, torchiando confidenti e possibili sospetti. Nessuna traccia, però, della moto e delle armi utilizzate dai killer. Sinonimo di un agguato preparato e studiato ni minimi particolari. Chi ha ucciso con fredda e spietata ferocia, conosceva orari e spostamenti della vittima, come raggiungere e allontanarsi dal luogo dell’omicidio, e soprattutto far perdere le proprie tracce svanendo nel nulla.

Quello di Potenza, del resto, era un nome da sempre legato alle logiche criminali. Alla fine degli anni Novanta, quando un giovanissimo Potenza era stato accostato al clan capeggiato dal brindisino Vito Di Emidio, uno dei criminali più spietati e feroci della storia criminale. Era stato lo stesso boss, che aveva deciso di collaborare pochi giorni dopo la cattura, ad accusare la vittima di aver fatto parte del suo “gruppo di fuoco”. In particolare, di un duplice omicidio (quello dei coniugi Fernando D’Aquino e Barbara Toma, freddati a colpi di fucile mitragliatore il 5 marzo del 1998), per cui era poi stato assolto con sentenza definitiva.

Dopo aver scontato sei anni di carcere, dal 2006 al 2012, Potenza era tornato in libertà. Di lui, però, aveva continuato a occuparsi la magistratura. Nell relazione annuale (riferita al periodo tra il luglio del 2014 e il giugno 2015) la Direzione nazionale antimafia aveva puntato il dito contro il 42enne e un altro dei presunti fedelissimi dell’ex boss Bullone, Casarano-8-7Tommaso Montedoro. 

“Nel territorio confinante con Gallipoli, quello delle città di Matino e Parabita e in quello delle vicine Casarano, Taurisano, Ugento e Acquarica del Capo è risultata la perdurante operatività di un gruppo criminale capeggiato da Tommaso Montedoro e Augustino Potenza, che ha incrementato l’attività criminale a seguito della condizione di libertà nella quale da alcuni mesi è venuto a trovarsi Potenza. Libero (poi arrestato nell’ambito dell’operazione Coltura n.d.r.) è anche Marco Giannelli (figlio di Luigi, da sempre attivo nella zona di Parabita e Matino) al cui gruppo è riconosciuta una sorta di autonomia operativa dagli stessi Montedoro e Potenza (per il “rispetto” dovuto ad un esponente “storico” della sacra corona unita quale Luigi Giannelli)”. Potrebbe forse essere racchiusa in questi pochi righi la soluzione a una dell’esecuzione più violente e spietate dell’ultimo decennio.

A Casarano, intanto, impazza la diatriba tra l’amministrazione comunale guidata dal sindaco Gianni Stefàno e la giornalista Maria Luisa Mastrogiovanni, che in una sua articolata inchiesta ha ricostruito l’ascesa criminale di Potenza, puntando il dito contro le presunte infiltrazioni nell’amministrazione pubblica e la gestione dei beni confiscati allo stesso 42enne. Con dei manifesti affissi in città dall’eloquente titolo “Casarano non è mafiosa”, l’amministrazione Stefàno attacca l’operato della giornalista e respinge “con fermezza le gravi accuse diffamatorie e calunniose di complicità diffuse in questi giorni da Il Tacco d’Italia”, annunciando che “reagiremo con forza contro chi non esita a gettare sinistre ombre sull’amministrazione e su un intero tessuto sociale marchiandolo come mafioso e connivente”. Singolare la scelta di affiggere in piazza dei manifesti piuttosto che, come chiunque si senta diffamato e accusato ingiustamente, intraprendere le vie legali. A Casarano, dunque, la mafia non esiste, ed è colpa del dito che indica la luna. 

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