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Cronaca San Cesario di Lecce

Omicidio Zuccaro, la difesa di Arseni: nessuna premeditazione e metodo mafioso

Inammissibilità del ricorso in Cassazione, poi sfociato nel processo d'appello, contro la sentenza di primo grado emessa nei confronti di Lorenzo Arseni, il 49enne di San Cesario accusato dell'omicidio di Gianfranco Zuccaro, il 37enne assassinato a colpi di pistola la mattina del 7 luglio del 2012. E' questo uno dei passaggi dell'arringa dell'avvocato Ladislao Massari

LECCE – Inammissibilità del ricorso in Cassazione, poi sfociato nel processo d’appello, contro la sentenza di primo grado emessa nei confronti di Lorenzo Arseni, il 49enne di San Cesario accusato dell’omicidio di Gianfranco Zuccaro, il 37enne assassinato a colpi di pistola la mattina del 7 luglio del 2012 nel pieno centro del comune alle porte del capoluogo. E’ questo uno dei passaggi cardine dell’arringa difensiva dell’avvocato Ladislao Massari, uno dei legali di Arseni con il collega Massimiliano Petrachi. Nel giudizio con rito abbreviato il gup Carlo Cazzella non aveva riconosciuto la premeditazione. Aggravante alla base dell’istanza presentata dalla Procura di Lecce ai giudici della Corte di Cassazione. Per questo nella scorsa udienza il procuratore generale Antonio Maruccia aveva chiesto di riconoscere l’aggravante della premeditazione e condannare l’imputato all'ergastolo o, in subordine, di ricalcolare la pena a trent’anni di reclusione.

L’avvocato Massari ha inoltre evidenziato come alla base dell’omicidio non vi sia alcuna aggravante del metodo mafioso (riconosciuta in primo grado), evidenziata dall’accusa dalla platealità del delitto. Si è trattato, come evidenziato dalle immagini di videosorveglianza di un esercizio commerciale, di un omicidio d’impeto. La difesa ha sempre sottolineato, attraverso circostanze, testimonianze e riscontri, come l’omicidio sia maturato in un contesto di acredini e forti contrasti personali tra Arseni e Zuccaro. L'assassino ha sempre sostenuto davanti agli inquirenti d’aver agito in maniera istintiva, sparando non per uccidere ma per ferire. Alla base vi sarebbe stata la gelosia.

La sera prima dell’omicidio, infatti, Arseni avrebbe saputo dalla moglie che Zuccaro in più occasioni l’aveva infastidita, rivolgendole avance e apprezzamenti. In alcuni casi, sempre in assenza del marito, il bodyguard si sarebbe recato presso l’abitazione della coppia. La domenica mattina del 7 luglio, Arseni avrebbe quindi deciso di incontrare il suo rivale nel bar abitualmente frequentato d quest’ultimo per chiarimenti, portando però con sé una pistola perché Zuccaro era indubbiamente un uomo prestante, che della propria fisicità ne aveva fatto un lavoro.

Dopo aver preso un caffè, la conversazione tra i due è proseguita all’esterno: Zuccaro avrebbe inizialmente negato ogni contatto con la compagna dell’arrestato, ma mentre i due si stavano separando, il bodyguard (sempre secondo quanto raccontato da Arseni) avrebbe rivolto pesanti apprezzamenti nei confronti della moglie, schernendolo.

A quel punto, accecato dalla gelosia, il 49enne avrebbe estratto la pistola (custodita forse in auto), sparando una serie di colpi “alla cieca”. Zuccaro morì in pochi istanti, dopo essersi trascinato per alcuni metri per le ferite causate da tre colpi di pistola calibro 7.65 che gli trapassarono il fegato e un polmone. L’omicidio dunque, secondo la versione fornita dall’assassino, non avrebbe avuto mandanti, né modalità mafiose, ma sarebbe stato solo il frutto di una folle e accecante gelosia. Una tesi, questa, che non ha mai convinto a fondo gli inquirenti.

I carabinieri del Nucleo investigativo di Lecce, nel corso delle indagini (e avvalendosi anche delle fondamentali riprese del sistema di videosorveglianza di un'attività commerciale, in piazza), scoprirono ben presto chi fosse stato a uccidere il bodyguard ma Arseni, intanto, era già fuggito.

Trascorse la latitanza a Lendinuso, marina di Torchiarolo, nel brindisino. A distanza di oltre un mese dall’omicidio, i militari diretti dal capitano Biagio Marro scovarono la moglie, risalendo così al nascondiglio dell’imputato. La donna sotto a uno degli ombrelloni della spiaggia adriatica, assieme al figlio di sei anni. Pedinata fino all’abitazione – una villetta messa a disposizione da presunti complici e presa in affitto da terzi –, i carabinieri sorpresero Arseni e lo arrestarono.

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