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Cronaca

Sotto torchio le donne del clan, ma restano in silenzio dal gip

Carmela Merlo, la compagna del latitante Roberto Nisi, ha optato per la facoltà di non rispondere, come Luigia Pesolino. Ha parlato solo la moglie del boss Caramuscio, ma per smentire legami più profondi di una normale conoscenza

 

LECCE - "Le donne hanno avuto sempre un ruolo determinante nell'assetto criminale e negli affari della Sacra corona unita, sin dagli albori e dalla sua nascita per mano e progetto di Pino Rogoli. La Scu, infatti, nasce e si sviluppa in carcere e necessita dell'apporto delle mogli dei detenuti, capaci di garantire la forza dell'associazione all'esterno attraverso il "nome" e il vincolo parentale. La figura femminile si dimostra affidabile e fedele".

Un assioma, quello del procuratore Cataldo Motta, una vita trascorsa in prima linea nella lotta alla quarta mafia pugliese, che sembra trovare applicazione e conferma nell'operazione che martedì scorso ha sgominato, con l'esecuzione di oltre quaranta ordinanze di custodia cautelare, uno dei presunti gruppi della Sacra corona Unita (quello legato alle figure dei fratelli Roberto e Giuseppe Nisi e di Pasquale Briganti, detto Maurizio, tutti latitanti) operante a Lecce e in alcuni comuni del brindisino.

Oggi, dinanzi al gip Alcide Maritati, sono comparse nel carcere di Borgo San Nicola, per l'interrogatorio di garanzia, tre delle donne arrestate nel corso dell'operazione. Tra loro Carmela Merlo, 44 anni leccese, moglie di Roberto Nisi. La donna, secondo gli inquirenti, "avrebbe ricoperto un ruolo di "referente esterno" del marito detenuto, partecipando alla movimentazione dei proventi derivanti dalle attività illecite, incassando le quote di denaro spettanti al consorte e provvedendo personalmente al "mantenimento" dei detenuti aderenti al gruppo criminale capeggiato dal marito, versando somme di denaro ai loro familiari". La donna non ha risposto alle domande del giudice, avvalendosi della facoltà di non rispondere.

Simona Sallustio, 42enne di Cavallino, moglie di Salvatore Caramuscio, nome storico della Sacra corona unita salentina, ha invece respinto ogni accusa, affermando di aver avuto solo rapporti di semplice conoscenza con i fratelli Nisi a causa di precedenti vicissitudini giudiziarie. La donna, sguardo penetrante e atteggiamento di sfida e sprezzante, ha aggiunto che aveva saputo che da qualche tempo c'erano persone che spacciavano a Surbo "spendendo" il nome del marito.

Secondo l'accusa, invece, la Sallustio avrebbe fatto da collante tra il gruppo Nisi-Briganti e quello di Caramuscio, incassando il cosiddetto "punto": la tangente per lo spaccio nelle zone di propria "competenza". Scena muta, invece, da parte Luigia Pesolino, che ha preferito rimanere in silenzio. Riguardo alla “scomparsa” dei presunti promotori dell'organizzazione, i fratelli Nisi e Briganti, e l'ipotesi di una fuga di notizie, il procuratore Motta ha spiegato che al momento non vi sono elementi tali da giustificare l'apertura di un fascicolo d'inchiesta.

Iniziano gli interrogatori, ma le donne scelgono di non parlare

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