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Cronaca

Operazione "Cinemastore", inflitte in appello condanne per oltre un secolo di carcere

Condanne per decine di anni di carcere sono state inflitte nel processo d'appello scaturito dall'operazione "Cinemastore". Un'indagine che ha documentato il processo di espansione di uno dei clan della Scu, operante a Lecce e in alcune zone del brindisino e legato alla figura di Pasquale Briganti, 42 anni, e dei fratelli Roberto e Giuseppe Nisi, di 59 e 51 anni

LECCE – Condanne per decine di anni di carcere sono state inflitte nel processo d’appello scaturito dall’operazione “Cinemastore”. Un’indagine che ha documentato il processo di espansione di uno dei clan della Scu, operante a Lecce e in alcune zone del brindisino e legato alla figura di Pasquale Briganti, 42 anni, e dei fratelli Roberto e Giuseppe Nisi, di 59 e 51 anni.

L’operazione aveva evidenziato, secondo gli inquirenti, la capacità della Sacra corona unita di continuare, nonostante gli arresti operati dalle forze dell’ordine e l’attività incessante di contrasto, a rinascere dalle proprie ceneri e rimanere radicata nel territorio e nella realtà salentina. Il processo scaturisce da tre anni d’indagini, condotte – come aveva sottolineato il procuratore Motta – con grande capacità investigativa dagli agenti della squadra mobile di Lecce, guidata in quei giorni dal vicequestore aggiunto da Michele Abenante.

Come negli anni più difficili della lotta alla mafia, la tranquilla notte del capoluogo salentino era stata bruscamente interrotta dalle sirene delle auto degli agenti di polizia impiegati nell’esecuzione di 41 ordinanze di custodie cautelare in carcere emesse dal gip Alcide Maritati su richiesta del procuratore della Repubblica Cataldo Motta e dal sostituto Guglielmo Cataldi. L'accusa, a vario titolo, era di associazione per delinquere di stampo mafioso, finalizzata al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti, gioco d’azzardo, tentata rapina, tentata estorsione, riciclaggio e detenzione di arma comune da sparo.

Ridotta a 12 anni e 5 mesi la pena per Giuseppe Nisi (nella foto). Confermate le pene per Maurizio Briganti, 2 anni; 5 per Marco Calò e Sebastiano De Angelis; Emanuele Milinanni, condannato a 9 anni e 7 mesi; Gianni Dolce, 8 anni; Sandro Fuso, 6 anni e due mesi.

Giuseppe Nisi-3Per Giusepe Bleve condanna a 5 anni e quattro mesi; 9 anni e otto mesi per Stefano Ciurlia; 5 anni e 8 mesi per Sergio Caroppo; 2 anni e dieci mesi per Michele Amato; 4 anni e dieci per Stefano Elia; 5 anni e 10 mesi per Alessandro Manni; 5 anni e due mesi per Danilo De Tommasi; 2 anni e otto mesi per Daniele Urso; 5 anni e undici mesi per Raffaele Renna; 4 anni e otto mesi per Omar Sanapo; 4 anni e nove per Mauro Personè; 9 anni per Gianni Solombrino.

Steven Miverva di Gallipoli ha ottenuto l'assoluzione. La Corte d'Appello di Lecce, dopo la condanna a 4 anni e 4 mesi inflittagli in primo grado in sede di abbreviato dal gip Carlo Cazzella, lo ha assolto il Minerva da tutti e tre i capi di imputazione per non aver commesso il fatto. Era difeso dall'avvocato Angelo Ninni. 

Secondo l’ipotesi accusatoria l’associazione si caratterizzava per la forza d’intimidazione dei suoi rappresentanti e per la conseguente condizione di assoggettamento e di omertà sia all’interno di essa che all’esterno, utilizzata per la commissione di delitti, per il controllo del territorio di Lecce e paesi limitrofi, per la gestione di varie attività criminose. L’attività investigativa (62 le persone indagate complessivamente) è iniziata dopo l’omicidio di Antonio Giannone avvenuto la sera del 6 aprile del 2009 e il successivo attentato compiuto ai danni della videoteca Cinemastore pochi giorni dopo.

Le indagini hanno permesso di accertare, secondo gli inquirenti, l’appartenenza degli affiliati alla Scu, all’interno della quale i fratelli Nisi assumevano, al pari del Briganti, il controllo delle attività illecite, tra cui la riscossione del “punto”, ossia la tangente sul commercio della droga operato da soggetti non inseriti nell’organizzazione, ma di fatto assoggettati al pagamento della tassa nei confronti dell’organizzazione che ha il controllo del territorio.

Fondamentali, ancora una volta, le intercettazioni telefoniche e ambientali, anche di alcuni colloqui avvenuti all’interno di diverse case circondariali, oltre che servizi di osservazione, pedinamento e controllo degli indagati e l’utilizzo delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia.

Un ruolo importante lo avevano anche le donne, capaci di fungere da referenti esterni durante la reclusione dei mariti, come nel caso di Carmela Merlo (moglie di Roberto Nisi) e di Simona Sallustio (moglie di Salvatore Caramuscio, nome storico della Scu), condannate rispettivamente a 4 anni e cinque mesi (pena confermata) e 1 anno e quattro mesi (pena ridotta). La forza del gruppo si evidenziava attraverso le propaggini negli atri sodalizi criminali, in base a quella “pax mafiosa” che da alcuni anni caratterizza la quarta mafia pugliese.

Gli imputati sono assistiti dagli avvocati Donata Perrone, Giancarlo Dei Lazzaretti, Antonio Savoia, Giovanni e Gabriele Valentini, Mario Ciardo, Luigi e Roberto Rella, Paolo Cantelmo, Federico Mazzarella.

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