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Cronaca Parabita

Operazione Coltura: intrecci tra mafia e politica, 22 le richieste di condanna

Vent'anni la pena invocata per Marco Antonio Giannnelli, figlio del boss Luigi e ritenuto a capo dell'omonimo clan

LECCE – Sono 22 le richieste di condanna formulate nel giudizio abbreviato, dinanzi al gup Michele Toriello, scaturito dalla maxi operazione ribattezzata “Coltura”, come la Madonna di Parabita, condotta dai carabinieri. Furono ventidue gli arresti eseguiti (venti in carcere) nei confronti altrettanti indagati per associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, estorsione, detenzione illegale di armi, corruzione e altri delitti aggravati dalle finalità mafiose. Al centro delle indagini dei carabinieri del Ros il clan “Giannelli”, storico sodalizio mafioso della Sacra corona unita legato indissolubilmente al boss ergastolano Luigi Giannelli (non coinvolto nell’operazione odierna).

Vent’anni, in particolare, la richiesta del procuratore aggiunto Antonio De Donno per Marco Antonio Giannnelli, 31 anni; 7 anni per Pasquale Aluisi, 53 anni, di Parabita; 16 anni e otto mesi per Vincenzo Costa, 52, di Matino; 9 anni per Fernando Cataldi, 26 anni, di Collepasso; 12 anni per Cristiano Cera, 25, di Ugento; 7 anni per Claudio Donadei, 43, di Parabita; 12 anni per Leonardo Donadei, 50, di Parabita; 10 anni per Antonio Fattizzo, 38, di Parabita; 4 anni e otto mesi per Lorenzo Mazzotta; 10 anni per Antonio Luigi Fattizzo, 20, di Parabita; 10 anni per Adriano Giannelli, 40, di Parabita; 14 anni per l'albanese Besar Kurtalija, 29 anni, di Parabita; 12 anni per Donato Mercuri, 52, di Parabita; 12 per Fernando Mercuri, 53, di Parabita (per lui abbreviato condizionato); 14 anni per Orazio Mercuri, 46, di Parabita; 8 anni per Cosimo Paglialonga, 61, di Collepasso; 12 anni per Giovanni Picciolo, 34, di Collepasso; quattro mesi per Alessandro Prete, 35, di Casarano; 6 anni per Marco Seclì, 31, di Parabita; 10 anni per Matteo Toma, 37, di Parabita; 12 anni per Mauro Ungaro, 33, di Taurisano.

Nel collegio difensivo gli avvocati Luca Laterza, David Alemanno, Mariangela Calò, Vincenzo Blandolino, Elvia Belmonte, Biagio Palamà, Gabriella Mastrolia, Francesco Fasano e Pietro Ripa. Oggi sono iniziate le prime discussioni della difesa, che proseguiranno giovedì, data in cui è attesa anche la sentenza. Si sono costituiti parte civile Giuseppe Cataldo con l'avvocato Massimo Lucio Astore, e il Comune di Parabita con l'avvocato Ester Nemola.

Gli imputati

Sarà discussa a dibattimento, invece, la posizione dell’ex vicesindaco di Parabita, Giuseppe Provenzano, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa per aver fornito significativi contributi (soprattutto economici) al sodalizio e assicurato il proprio interessamento al fine di garantirsi il supporto del clan nelle elezioni amministrative del maggio 2015. Un “santo in paradiso”, come lo stesso Provenzano si sarebbe definito in alcune intercettazioni, capace dia assicurare (secondo la Procura) assunzioni e interessi in appalti. L’imputato è assistito dall’avvocato Luigi Corvaglia. Ha già patteggiato una condanna a due mesi e venti giorni per Saimir Sejdini, 25enne residente a Taviano, assistito dall’avvocato Stefano Stefanelli.

Nella lunga e peculiare attività d’indagine il Ros ha documentato il presunto processo di riorganizzazione interna del clan e la reggenza assunta dal figlio del boss, Marco Antonio Giannnelli, 31 anni, assistito dall’avvocato Luca Laterza. L’indagine si è avvalsa anche delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Massimo Donadei (arrestati anche due suoi parenti), 35enne di Parabita. L’attività investigativa, basata anche su intercettazioni telefoniche e ambientali, appostamenti e riscontri di natura tecnica e patrimoniale, ha permesso di documentare la scalata di Marco Antonio Giannelli ai vertici del clan. Già negli anni scorsi il procuratore Cataldo Motta aveva indicato il 31enne come uno dei nomi emergenti della "seconda generazione" della Scu.

In particolare, le indagini hanno accertato il dinamismo del sodalizio nel traffico di sostanze stupefacenti e nelle attività estorsive ai danni di imprenditori locali, nonché’ la capacità di instaurare rapporti collusivi con pubblici amministratori e di condizionarne l’attività in cambio del sostegno elettorale. Il clan, operante principalmente nelle zone di Parabita, Matino (qui il referente era Vincenzo Costa) e Collepasso (zona di competenza di Cosimo Paglialonga), cercava di penetrare nel tessuto economico del territorio, attraverso il coinvolgimento o l’intimidazione degli imprenditori. Tra gli imputati anche Pasquale Aluisi (assistito agli avvocati Mariangela Calò ed Elvia Belmonte), titolare dell’omonima agenzia funebre, che avrebbe garantito un versamento periodico di somme di denaro nelle casse del sodalizio e la cessione di crediti. Il tutto per garantirsi un regime di sostanziale monopolio nel settore di interesse, facendo ricorso al clan per allontanare le imprese concorrenti attraverso

le intimidazioni. Il sistema intimidatorio, tipico delle associazioni mafiose, è stato documentato dai carabinieri. Un sistema a 360 gradi, utilizzato anche contro i familiari del collaboratore di giustizia Massimo Donadei e don Angelo Corvo parroco della chiesa San Giovanni Battista di Parabita, colpevole di aver rilasciato alcune interviste nelle quali aveva espresso il desiderio che fossero assicurati alla giustizia gli autori del duplice omicidio di Paola Rizzello e Angelica Pirtoli.

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