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Cronaca Parabita

Operazione "Coltura": scacco al clan Giannelli, in manette anche amministratori pubblici

Al centro delle indagini dei carabinieri del Ros il clan “Giannelli”, storico sodalizio mafioso della Sacra corona unita salentina facente capo al boss ergastolano Luigi Giannelli. Nell'attività d’indagine documentato il presunto processo di riorganizzazione interna  del clan e la reggenza assunta dal figlio del boss, Marco Antonio

LECCE – Il blitz è scattato prima dell’alba, con le sirene e gli elicotteri a squarciare il silenzio della brumosa notte salentina. Una maxi operazione, ribattezzata “Coltura” come la Madonna di Parabita, quella condotta dai carabinieri nella provincia di Lecce, che ha portato all’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Alcide Maritati su richiesta della Direzione distrettuale antimafia. Ventidue gli arresti eseguiti (venti in carcere) nei confronti altrettanti indagati per associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, estorsione, detenzione illegale di armi, corruzione e altri delitti aggravati dalle finalità mafiose.

Al centro delle indagini dei carabinieri del Ros il clan “Giannelli”, storico sodalizio mafioso della Sacra corona unita legato indissolubilmente al boss ergastolano Luigi Giannelli (non coinvolto nell’operazione odierna). Una figura che riporta inevitabilmente agli anni più bui della Scu e a una condanna a definitiva all’ergastolo come mandante del duplice omicidio Paola Rizzello (di appena 27 anni) e di sua figlia Angelica, bimba di poco più di due anni, uccise la sera del 20 marzo 1991. Un duplice omicidio legato alla criminalità organizzata e alla Sacra Corona Unita. Uno dei delitti di mafia più feroci della nostra storia. Potente e spietato, secondo il profilo tratteggiato dalle inchieste giudiziarie e da alcuni collaboratori di giustizia, il boss è stato condannato come mandante dell’omicidio di Agostino Mancino, il 31enne di Matino ucciso a colpi di pistola l'8 giugno del 1991.

Nella lunga e peculiare attività d’indagine il Ros ha documentato il presunto processo di riorganizzazione interna del clan e la reggenza assunta dal figlio del boss, Marco Antonio Giannnelli, 31 anni, assolto a marzo scorso nell’ambito del giudizio abbreviato scaturito dall’operazione “Tam Tam”. Dopo quell’assoluzione (per cui il procuratore aggiunto Antonio De Donno ha presentato appello) gli inquirenti hanno dato via a una nuova indagine che si è avvalsa anche delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Massimo Donadei (arrestati anche due suoi parenti), 35enne di Parabita. L’attività investigativa, basata anche su intercettazioni telefoniche e ambientali, appostamenti e riscontri di natura tecnica e patrimoniale, ha permesso di documentare la scalata di Marco Antonio Giannelli ai vertici del clan. Già negli anni scorsi il procuratore Cataldo Motta aveva indicato il 31enne come uno dei nomi emergenti della "seconda generazione" della Scu.

Operazione Coltura

In particolare, le indagini hanno accertato il dinamismo del sodalizio nel traffico di sostanze stupefacenti e nelle attività estorsive ai danni di imprenditori locali, nonché’ la capacità di instaurare rapporti collusivi con pubblici amministratori e di condizionarne l’attività in cambio del sostegno elettorale. In manette è finito anche il vicesindaco di Parabita, Giuseppe Provenzano, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa per aver fornito significativi contributi (soprattutto economici) al sodalizio e assicurato il proprio interessamento al fine di garantirsi il supporto del clan nelle elezioni amministrative del maggio 2015. Un “santo in paradiso”, come lo stesso Provenzano amava definirsi in alcune intercettazioni, capace dia assicurare (secondo la Procura) assunzioni e interessi in appalti.

Il clan, operante principalmente nelle zone di Parabita, Matino (qui il referente era Vincenzo Costa) e Collepasso (zona di competenza di Cosimo Paglialonga), cercava di penetrare nel tessuto economico del territorio, attraverso il coinvolgimento o l’intimidazione degli imprenditori. Tra gli arrestati anche Pasquale Aluisi, titolare dell’omonima agenzia funebre, che avrebbe garantito un versamento periodico di somme di denaro nelle casse del sodalizio e la cessione di crediti. Il tutto per garantirsi un regime di sostanziale monopolio nel settore di interesse, facendo ricorso al clan per allontanare le imprese concorrenti attraverso le intimidazioni.

Il sistema intimidatorio, tipico delle associazioni mafiose, è stato documentato dai carabinieri. Un sistema a 360 gradi, utilizzato anche contro i familiari del collaboratore di giustizia Massimo Donadei e don Angelo Corvo parroco della chiesa San Giovanni Battista di Parabita, colpevole di aver rilasciato alcune interviste nelle quali aveva espresso il desiderio che fossero assicurati alla giustizia gli autori del duplice omicidio di Paola Rizzello e Angelica Pirtoli.

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