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Cronaca

Sui barconi per una nuova vita, poi schiavizzate e costrette a prostituirsi: 5 arresti

L'operazione "Nigeria", condotta dai carabinieri del Nucleo investigativo di Lecce, ha mozzato la testa a un'organizzazione dedita alla tratta e alla riduzione in schiavitù di giovani straniere

LECCE – Vendute e trattate come merce, bambole di pezza da sfruttare e poi buttare via. Trentacinquemila euro, questo il prezzo di una giovane vita umana da trasformare in oggetto sessuale sulle strade italiane. E' la parte più cruda e violenta dei grandi flussi migratori dei nostri giorni quella che emerge dall'operazione "Nigeria", condotta dai carabinieri del Ros e del Nucleo investigativo di Lecce. Al centro delle indagini, coordinate dai sostituti procuratori Guglielmo Cataldi e Maria Rosaria Micucci, un sodalizio criminale transnazionale radicato in Nigeria, con cellule operative in Libia e in diverse aree del territorio nazionale, dedito alla riduzione in schiavitù e tratta di ragazze destinate al mercato della prostituzione.

Vittime, molto spesso anche minorenni, assoggettate alle madame nigeriane, fatte giungere sulle coste italiane a bordo di barconi stipati di migranti e salpati dalle coste libiche alla volta della Sicilia. Cinque le misure cautelari (32 gli indagati) emesse dal gip Michele Toriello su richiesta della Dda del capoluogo salentino. Il giudice, dopo aver emesso la misura per ragioni d'urgenza, si è dichiarato incompetente per territorio, poichè i reati sono stati commessi al di fuori della provincia di Lecce. Il fascicolo sarà dunque trasferito per competenza alla Procura di Catania.

La denuncia e l'avvio delle indagini

Un'inchiesta tanto rapida quanto complessa quella avviata nel marzo del 2016 dopo la denuncia di una madre delle vittime. La donna si è rivolta ai carabinieri di Lecce, che sono ricosciuti a ricostruire, nonostante le evidenti difficoltà di un'indagine internazionale (con nazioni dalla complessa situazione geopolitica), traffici e interessi illeciti dell'organizzazione criminale. 

Monitorando le comunicazioni dei presunti rapitori in contatto con la denunciante, i carabinieri hanno progressivamente individuato un'articolata organizzazione criminale di matrice nigeriana costituita da più cellule con basi logistiche sia nella nazione d’origine sia nel nord Africa, in particolare in Libia nelle città di Sebha, Sabratha e Tripoli, dove operano stabilmente referenti in accordo con bande criminali locali e di altre nazionalità, dedite alla gestione di giovani vittime destinate allo sfruttamento sessuale da far giungere anche in Italia tramite i flussi migratori clandestini dal continente africano a quello europeo attraverso collaudate rotte di viaggio. 

Le indagini hanno consentito di individuare sia la figlia della denunciante, che è stata tratta in salvo, sia numerose altre ragazze sbarcate in tempi diversi sulle coste italiane e destinate al mercato della prostituzione, alcune delle quali hanno deciso di sottrarsi alle maglie dell’organizzazione e di rendere dichiarazioni che hanno riscontrato pienamente la ricostruzione investigativa dei carabinieri. Il reclutamento, è effettuato in Nigeria da soggetti spesso legati da vincoli di parentela con i referenti dell’organizzazione presenti in Italia. Il reclutamento viene effettuato in ragione dell’età e delle fattezze fisiche delle ragazze, nonché della loro eventuale verginità, caratteristiche che vengono documentate anche attraverso fotografie ritraenti le vittime.

IL VIDEO DELL'OPERAZIONE

Il lungo viaggio

Una volta scelta la "merce", inizia un lungo viaggio: Lagos, Ibadan, Kontagora, Birmin-Konni (città di frontiera al confine conil Niger), Tahoua e Agadez, le tappe infinite di una fuga verso il miraggio dell’occidente. Nomi esotici che nascondono il cammino infernale di un popolo di disperati che attraverso migliaia di chilometri sperano di conquistare il sogno di una vita migliore. Viaggi su mezzi di fortuna, a volte con l’utilizzo di biciclette da parte di due o addirittura tre persone contemporaneamente per attraversare il confine con il Niger con l’ordine perentorio di abbandonare nella savana l’eventuale passeggero che, stremato dalla stanchezza, non riesce a continuare il viaggio.

Drammatici anche i racconti dei momenti dell’attraversamento del deserto al confine tra Niger e Libia, quando bisogna affrontare il Teneré, il deserto dei deserti,e poi il Sahara, lì dove i clandestini più deboli o privi di sensi vengono spinti fuori dai camion in corsa. I gruppi dei migranti superstiti, giunti sulle coste libiche, restano in balia di ulteriori sequestri di persona ad opera di squadre di “ribelli” armati che li utilizzano come “merce di scambio” per la successiva rivendita ad altre organizzazioni criminali che si occupano del trasporto.

Gli esponenti di tali squadre sono in contatto con alcuni non meglio identificati agenti della polizia libica e a loro consegnano quegli individui che non offrono garanzie di particolare remuneratività. La Libia è l’ultimo avamposto prima della meta ambita: poi sono il mare e la salsedine a cancellare la sabbia del deserto; l’ultimo tratto bisogna affrontarlo con una nave di fortuna e quindi si arriva sulle coste della Sicilia. Da alcune delle dichiarazioni è emerso che i clandestini vengono rapiti anche dopo aver intrapreso il viaggio per l’Italia a bordo dei gommoni e riportati sulle coste libiche per essere successivamente rivenduti. Nel mezzo violenze, stupri, omicidi, privazioni, soprusi, umiliazioni e dolore. 

L'arrivo in Italia

Nel recupero dei migranti dai centri d’accoglienza ove vengono condotti una volta giunti in Italia, attuato con la complicità del migrante e di altri soggetti assoldati da chi ha interesse a far giungere il migrante sul territorio nazionale. Ad alcuni di questi l’organizzazione procaccia in Italia dei documenti falsi e li accompagna verso la destinazione finale, spesso rappresentata dal luogo ove già risiedono i familiari. Diverso il destino delle donne reclutate per essere sfruttate sessualmente, affidate alle cosiddette “Madame”, spesso ex prostitute divenute organiche all’organizzazione, che le avviano all’attività di meretricio controllando costantemente la loro condotta anche con mezzi coercitivi.

Tra minacce e riti voodoo
Con specifico riguardo al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina delle donne da avviare alla prostituzione, l’indagine ha documentato come le ragazze, solitamente consapevoli della loro sorte, vengano sottoposte a riti  “voodoo” già nel momento in cui decidono di affidarsi all’organizzazione criminale per intraprendere il lungo viaggio dal loro paese d’origine. Il rituale in questione assoggetta le vittime che, legate psicologicamente da una sorta di “obbligo spirituale”, si attengono fedelmente alle prescrizioni impartite dai referenti dell’organizzazione per evitare eventi nefasti in loro danno e delle loro famiglie. I riti “voodoo” vengono effettuati da persone chiamate “native doctor” o, in gergo, “Babalawoo” in presenza della donna o anche in sua assenza, tramite l’utilizzo di un’immagine dell’interessata.
Giunte in Italia le ragazze passano sotto il controllo delle  “madame”, le quali, attraverso ulteriori riti “voodoo”, la violenza fisica e le intimidazioni, le costringono a vendere il loro corpo per raccogliere il denaro necessario a saldare il debito contratto con i trafficanti. Solo con l’estinzione di tale debito, le donne sfruttate possono affrancarsi dal controllo dell’organizzazione e “liberare” la propria anima dal vincolo spirituale che ad essa la lega.

Un fiume di denaro

I riferimenti alle transazioni emersi nel corso dell’attività, spesso in contanti o talvolta effettuate attraverso il frazionamento in piccole somme oggetto di money transfer da parte di soggetti compiacenti che polverizzano, di fatto, le tracce della loro reale consistenza, evidenziano un volume d’affari dell’organizzazione criminale ingentissimo, considerato che la somma di denaro che ogni migrante si impegna a versare per il viaggio ammonta ad una somma che varia dai trentamila ai trentacinquemila euro versati in più tranche per coprire le spese di trasporto ed il loro irrisorio sostentamento: un primo acconto viene versato per il trasferimento dalla Nigeria alla città libica di Sabha; un secondo acconto è pagato per il trasferimento da Sabha a Tripoli.

In alcuni casi il saldo finale avviene prima dell’imbarco; in altri casi, in particolare per le donne avviate alla prostituzione, il pagamento del saldo – in genere la parte più consistente della somma – avviene a destinazione attraverso la rifusione dei guadagni dell’attività di meretricio dai quali vengono detratte ulteriormente le spese sostenute dalle Madame per il vitto e l’alloggio delle vittime, con il conseguente aumento del periodo di sfruttamento originariamente a loro prospettato.

 Di fatto, per alcuni degli odierni indagati da tempo integrati nel territorio Italiano nelle città di Roma, Sassari ed in provincia di Verona, l’acquisto di vere e proprie “schiave” scelte preventivamente sul territorio d’origine attraverso il ricorso all’ingaggio “per debito” delle giovani donne in ragione delle loro qualità fisiche e quindi della potenzialità ad essere sfruttate, ha garantito ai medesimi una lucrosa e sicura fonte di reddito garantita da un assoggettamento derivante da una tradizione culturale propria dell’etnia del gruppo d’origine del sud della Nigeria (la maggior parte delle ragazze proviene dalle città di Benin City o Lagos) e, soprattutto, dalla debolezza psicologica indotta dalle difficoltà connesse al lungo viaggio per raggiungere l’Europa in cerca di fortuna in compagnia di migliaia di migranti.

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