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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca Galatina

Operazione "off side", i Coluccia si difendono: "Nessun illecito con la squadra"

Nel corso dell'interrogatorio di garanzia Danilo Coluccia ha spiegato di non aver alcun rapporto con i suoi famigliari

LECCE – “Non ho nessun rapporto con i miei famigliari, le mie erano solo millanterie non condivise, anzi osteggiate, da mio padre e soprattutto dai miei zii. I fatti che mi vengono contestati non solo non si sono mai concretizzati, ma erano solo fantasia, frutto del poter ostentare un cognome come il mio”. Si è difeso così, respingendo le accuse, Danilo Pasquale Coluccia, il 38enne di Noha, frazione di Galatina, arrestato all’alba d martedì dalla Squadra mobile nell’ambito dell’operazione denominata “off side”. Il 38enne, assistito dall’avvocato Luigi Greco, è comparso dinanzi al gip Giovanni Gallo, nel carcere di Borgo San Nicola, per l’interrogatorio di garanzia. Coluccia, delineato come nome emergente della criminalità, tanto da contestargli l’associazione mafiosa, si sarebbe (a suo dire) limitato a “spendere” il cognome di famiglia per ottenere piccoli vantaggi e aiutare qualche amico. Un atteggiamento che avrebbe provocato il rimprovero degli zii, nomi storici dell’omonimo clan.

Interrogatorio di garanzia anche per il padre di Danilo, Luciano Coluccia, 69enne finito ai domiciliari con l’accusa di frode sportiva. I due, incensurati, sono accusati di aver alterato i risultati di alcune partite della squadra di calcio Pro Italia Galatina nella stagione 2015/2016 di Promozione. Quell’anno, la formazione riuscì a salire in Eccellenza. Arrivata seconda, vinse poi nella finale dei play off. Secondo l’ipotesi accusatoria, pur di ottenere la promozione, conquistando così prestigio e consenso sociale, gli arrestati non avrebbero esitato a corrompere e minacciare dirigenti e giocatori, condizionando i risultati di alcune partite, in particolare con le formazioni di Maglie e Galatone. Gli arrestati hanno spiegato di non aver mai fatto pressioni su giocatori o dirigenti, in una squadra che, di fatto, dall’anno scorso non esiste più, dopo aver perso anche l’utilizzo dello stadio. Le intercettazioni riporterebbero solo conversazioni tra le varie società. Riguardo alle sponsorizzazioni, ottenute secondo l’accusa con pressioni e minacce, sarebbero state tutte ottenute in maniera lecita e regolarmente fatturate, così come avvenuto negli ultimi 15 o 20 anni. Piccole cifre con cui la squadra si è mantenuta a galla (facendo fatica a pagare i giocatori), come accade praticamente ovunque.

L’attività investigativa, nata nel 2015 sulla base di una documentata attività del gruppo (confermata da alcuni collaboratori di giustizia) ha evidenziato "il riconoscimento della capacità criminale del clan a imporsi sul territorio grazie alla forza d’intimidazione del vincolo associativo e della condizione di sottomissione che ne deriva" e la capacità di indirizzare i propri interessi verso settori apparentemente leciti e sostanzialmente estranei all'ambito operativo fino ad oggi noto: servizi cimiteriali, pur regolarmente affidati a una ditta ma che di fatto sarebbero stati gestiti dal 69enne (fino a due anni fa custode del cimitero di Galatina), attività commerciali come pescherie annesse a supermercati nel territorio provinciale, l'aggiudicazione di appalti pubblici, l'apertura di agenzie legate alla fornitura di gas ed energia elettrica.

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