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Cronaca

"Operazione Sabr", cade l'accusa di riduzione in schiavitù per i sedici indagati

Fatta eccezione per Pantaleo Latino, datore di lavoro 58enne di Nardò, che resta in carcere, i giudici hanno stabilito misure attenuate per tutti gli altri indagati. L'indagine condotta dal Ros sullo sfruttamento della manodopera

 

LECCE – Cade l’accusa di riduzione in schiavitù per gli indagati nell’inchiesta ribattezzata “Sabr”, su un presunto sodalizio che avrebbe sfruttato cittadini extracomunitari per lavorare nei campi. L’hanno stabilito i giudici del riesame. Fatta eccezione per Pantaleo Latino, datore di lavoro 58enne di Nardò, che resta in carcere, i giudici hanno stabilito misure attenuate per tutti gli altri indagati, fra alcuni passati ai domiciliari e altri ritornati in libertà.

Si tratta di Meki Adem, capo squadra 52enne nato sudanese, Belgacem Ben Bechir Aifa, capo squadra 42enne tunisino, Bilel Ben Ayaia, capo cellula 29enne tunisino, Giuseppe Cavarra, datore di lavoro 34enne di Pachino (Siracusa); Marcello Corvo, datore di lavoro 52enne di Nardò; Bruno Filieri, datore di lavoro 49enne di Nardò (già scarcerato nei giorni scorsi, Ndr), Saber Ben Mahmoud Jelassi, detto "capo dei capi" o il "Sabr", capocellula 42enne tuniniso, Rosaria Mallia, datore di lavoro 35enne di Pachino (Siracusa), Livio Mandolfo, datore 47enne di Nardò, Corrado Manfredi, datore di lavoro 59enne di Scorrano, Tahar Ben Rhouma Mehdaoui, capo squadra tunisino, Salvatore Pano, datore di lavoro 46enne di Nardò, Giovanni Petrelli, datore 50enne di Carmiano, Nizar Tanjar, capocellula 35enne sudanese e Houcine Zroud, reclutatore 47enne tunisino.

L'inchiesta, condotta dal Ros dei carabinieri e coordinata dal sostituto procuratore Elsa Valeria Mignone, ha sgominato una presunto sodalizio che avrebbe sfruttato e schiavizzato alcuni cittadini extracomunitari, costretti a lavorare per molte ore nei campi, in condizioni disumane. Caduta la riduzione in schiavitù, restano in piedi le altre accuse, fra cui associazione per delinquere, tratta di persone. L'organizzazione, a struttura piramidale, avrebbe al vertice i vari imprenditori proprietari dei terreni e sarebbe costituita da caporali, cassieri e capisquadra. Una sorta di holding che avrebbe sfruttato la manodopera dei clandestini, con una paga fra i 22 e i 25 euro al giorno.

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