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Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca

Otto anni di indagini, ritratto dell'uomo che ha guardato nei segreti di Lecce

Il capitano Marro dietro le quinte di innumerevoli successi. Mafia, omicidi, furti eccellenti e usura: ha sondato tutti i campi

Non ricordo il giorno preciso e la circostanza in cui ho conosciuto per lavoro il capitano Biagio Marro. Non potrò però dimenticare, otto anni dopo, in un piovoso scorcio d’autunno, il saluto commosso all’amico Biagio.  

Otto anni alle redini di un reparto dell’Arma sono un periodo molto lungo, inconsueto. Una parentesi temporale che permette d’instaurare un rapporto solido con il territorio, di captarne ogni aspetto sotterraneo.

Lecce e la sua provincia ne hanno tanti. Dietro al fascino ammaliante della pietra burrosa dei monumenti barocchi, oltre lo sfondo di quei panorami a picco sul mare che suscitano un silenzio carico di emozione, ci sono segreti inconfessabili, giochi di potere, sofferenza, storie di quotidiana follia. Tutto terreno fertile per un investigatore che non si ferma alle apparenze e che vuole continuare a scavare anche quando la disfatta sembra già scritta perché non c’è risposta a una sollecitazione.

Biagio, il carabiniere eternamente senza uniforme, un anticonformista che bada al sodo. L’estrazione contadina della terra d’Irpinia ne ha fatto un uomo concreto. Un uomo che ha messo innumerevoli volte il dito nelle piaghe del Salento. A capo del Nucleo investigativo, ha infilato la testa dietro al velo dell’ipocrisia, senza remore. Passando davanti a certi bar e notando auto di grossa cilindrata, avrebbe saputo indicare i guai di ogni singolo proprietario. Alcuni, i più insospettabili, persino sotto lo scacco dell’usura. Non l’avrebbero ammesso mai. Mantenere l’immagine pubblica, in una città di provincia, significa non rinunciare a uno status symbol, anche se la cravatta attorno al collo diventa sempre più stretta.

Le nostre esperienze d’investigatore e cronista si sono incrociate tante di quelle volte, che non saprei da dove iniziare. Ma il rispetto reciproco, divenuto nel tempo fitto scambio di idee e confronti sinceri, nasce da molto più lontano. Da un involontario percorso parallelo. LeccePrima era agli albori. Io avevo già masticato il giornalismo web a Milano, ero tornato all’antico amore per il cartaceo fra Lecce e Brindisi, per poi rituffarmi fra le onde di Internet con un mucchio di idee da mettere in ordine e tanti buoni propositi. Il capitano Marro arrivava pressappoco nello stesso periodo a Lecce con idee già molto chiare e tanti buoni propositi archiviati come indagini di successo.    

Primo incarico da maresciallo in Sicilia orientale tra le province di Catania e Siracusa tra il 1996 e il 2002, addetto alla stazione carabinieri di Lentini, poi sezione catturandi del Comando provinciale di Siracusa e infine Nucleo operativo della compagnia di Augusta. Era stato fra gli uomini che avevano stretto sotto la tenaglia, con una serie di operazioni, i clan della zona che si erano contesi il controllo dei traffici criminali a suon di omicidi.

Fra Scordia, Palagonia, Lentini e Francofonte, c’erano stati una dozzina di morti ammazzati nel giro di tre mesi. E così, apprendendo i segreti del mestiere direttamente sul campo da altri militari forgiati nell’acciaio (tante notti all’addiaccio a seguire movimenti di un sospettato), aveva lottato contro le ferite più laceranti del Sud, le estorsioni e il traffico di stupefacenti. E aveva alla fine concorso nella cattura di alcuni latitanti mafiosi.

Poi, nove mesi presso la Scuola ufficiali per seguire il corso dopo la promozione a sottotenente, quindi un nuovo incarico ad Andria, come comandante del Nucleo operativo e radiomobile, e per due volte a capo di quella compagnia in sede vacante. Quando era arrivato nel nord del Barese, intorno a lui si erano affannati a rassicurarlo: “La mafia? Qui non esiste”. Prima di andarsene, era stato tra gli artefici di un’operazione congiunta fra carabinieri e polizia ribattezzata “Castel del Monte”, con un’ottantina di arresti. E che, soprattutto, aveva consentito all'autorità giudiziaria di sentenziare per la prima volta, nel 2006, che, sì, la mafia ad Andria c’era, eccome.

Inevitabilmente, arrivato nel Salento, è divenuto quasi subito un punto di riferimento, un porto sicuro nel quale attraccare nell’oceano delle notizie. E ci vorrebbe un libro per raccontare la storia di otto anni di indagini a Lecce.

Alcune operazioni sono diventate pietre miliari. Con “Shylock” ed “Aequanius” ha portato a galla un vasto sistema dei prestiti a strozzo, anche se quella emersa è solo la punta dell’iceberg di un modello economico distorto che ha un’estensione molto più preoccupante. Lo stesso procuratore Cataldo Motta ha puntualizzato negli anni, più volte, quanto sia difficile ottenere successi investigativi in quest’ambito, per la ferma reticenza delle vittime a parlare.

Con “Déja Vu”, inchiesta snodatasi in più atti, ha sondato, nel nord Salento, fra i traffici illeciti di gruppi della Scu duri a morire, capaci piuttosto di rigenerarsi, e d’infiltrarsi anche nei gangli della burocrazia e dei Comuni. Con “Bingo” e, quasi contemporaneamente, con gli arresti degli autori dei furti di armi e munizioni presso la caserma della forestale di San Cataldo, ha acceso un faro sulla nuova frontiera. E’ quella dei colpi ai danni di enti pubblici, di carattere interregionale per via delle diramazioni, con bande che usano refurtiva molto particolare (dai documenti d’identità in bianco fino a pistole e mitragliatori) come merce di scambio, presumibilmente con apparati criminali di più alto spessore.

Con l’inchiesta sui rifiuti in odor di tangente, per i quali rischia il processo anche l’ex presidente dell’Ato Le/2, Silvano Macculi, ha toccato anche quel territorio non sempre esplorato fino in fondo delle pubbliche amministrazioni.   

Sotto il suo comando sono stati risolti alcuni fra gli omicidi che hanno fatto più rumore: quelli di Roberto Romano a Ruffano, di Massimo Bianco a Martano, di Luca Greco e Massimo Perrino a Campi Salentina, dei coniugi Luigi Ferrari e Antonella Parente a Porto Cesareo, quest’ultimo sconvolgente per efferatezza. Con il capitano Marro alla guida del Nucleo, è finito in cella Fabio Perrone, alias “Triglietta”, artefice di un omicidio quasi da film pulp per dinamica. Sì, lo stesso Perrone, passato poi alla storia anche per la sua fuga altrettanto surreale dall’ospedale.

Ci sono poi i “cold case”. A distanza di quattro anni, con l’arresto di Raffaele Galgano, il Nucleo ha chiuso il cerchio su quello che in apparenza, nel 2005, era sembrato il delitto perfetto, l’assassinio dell’assicuratore Luigi Russo. E non mancano altri casi in cui l’acume investigativo è stato necessario per arrivare a una soluzione. Per esempio, l’omicidio di Antonio Ingrosso, consumatosi a Torchiarolo, in provincia di Brindisi, ma con il cadavere ritrovato nella marina di Casalabate.

Ovviamente, tutto questo e molto altro non è il prodotto di un singolo uomo, pur onnipresente sulla scena dei delitti, ma di una precisa organizzazione di squadra. Credo che in questi otto anni da capitano del Nucleo, abbia saputo tirare fuori il meglio da ogni uomo sotto il suo comando, creando un gruppo coeso e pronto a lavorare senza sosta, con sacrificio, senza mai sfuggire a impegni e responsabilità, e quindi i presupposti per inanellare successi o per rialzarsi di scatto e con orgoglio davanti a qualche inevitabile insuccesso, e riaprire la partita.

La lealtà la base di tutto, la carica umana la marcia in più. Schivo in pubblico, eppure in questi otto, lunghi anni è stato fra coloro che meglio hanno interpretato il rapporto fra investigatore e cronista, nella consapevolezza che dietro a un giornale e a una tv, ci sono la voce e l'interesse del cittadino, ai quali non si deve sfuggire. Credo che molti colleghi saranno d’accordo.

Contattato per un dettaglio, sapeva già che ne volevi due, e così ne regalava tre. Se non c'erano motivi ostativi per un'indagine, ti accontentava oltre ogni aspettativa, fornendo anche stimolo per una chiave di lettura diversa su molti casi di cronaca, per scendere sotto la superficie, filtrare ogni singolo fatto sotto una luce nuova.

Dopo otto anni, ora c’è una nuova missione a Castellaneta, al comando della compagnia. Ma a Lecce può darsi che si sentirà ancora parlare del capitano Marro. Quando ci si accomiata da un luogo dopo tanto tempo, nella pentola bolle sempre qualche lascito. E arriverà il momento in cui si dovrà solo sollevare il coperchio.

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