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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca Piazza del Duomo

Periferie e povertà dietro ai colori della festa, il forte richiamo dell'arcivescovo

In serata la processione per i Santi Patroni e il vibrante discorso di monsignor D'Ambrosio, che ha ricordato le "periferie esistenziali" soffermandosi sulla condizione dei detenuti di Borgo San Nicola e sui troppi poveri che si rivolgono alla Caritas. In piazza Duomo striscioni degli operai ex Bat

LECCE – Dietro al momento di commemorazione popolare, al bagno di luci e colori in cui ogni anno s’immerge Lecce sul calare dell’estate, onorando i suoi Santi protettori Oronzo, Giusto e Fortunato, il bisogno di una riflessione profonda, in un mondo in continua e rapida trasformazione in cui si rischia di perdere il senso dei valori più veri.

E fra riferimenti a parole desunte dall’economica, Pil, segni più e segni meno, che a furia di essere pronunciate si sono quasi svuotate di significato, nella sua personale riflessione quest’anno l’arcivescovo metropolita Domenico Umberto D’Ambrosio ha voluto inserirci quella sulle periferie. Partendo da lontano, le parole di Papa Francesco, espresse nell’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” del 24 novembre scorso, per arrivare vicino, alle “periferie esistenziali largamente presenti fra noi”.

Due i riferimenti, e ben precisi: la condizione dei carcerati di Borgo San Nicola e quella dei poveri, “i tanti che bussano ai vari centri di ascolto della Caritas diocesana e delle nostre parrocchie, che chiedono e ottengono sostegno e aiuto ma anche accoglienza e ospitalità presso la Casa della carità e le sue succursali”.

Il discorso s’è tenuto come da tradizione dopo la messa delle 19,30 e la processione di piazza Duomo. E quasi a voler sottolineare povertà, periferie e quindi disoccupazione e disperazione, questa sera nel pieno della processione c’erano anche alcuni operai dell’ex manifattura tabacchi, la cui condizione è nota, dopo la riconversione e il desiderio di una vita normale e decorosa che sembra un miraggio spalmato in un lontano e inarrivabile futuro.

Famiglie al palo, e di recente anche un suicidio che ha portato a un’accesa manifestazione di protesta. “Lecce 2019 capitale della disoccupazione”,  e poi ancora riferimenti apertamente polemici verso British American Tobacco, Ip Korus e governo, nei loro striscioni, aperti e mantenuti in mano alla vista dei passanti per ricordare a tutti il dramma umano che la festa non cancella. Una trentina quelli presenti, che hanno anche intonato cori contro i politici locali, in prima fila.   

Il discorso: “Le periferie esistenziali”

“Da alcuni mesi, in particolare dalla data della pubblicazione dell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium di Papa Francesco il 24 novembre dello scorso anno, risuonano nel mio cuore e mi interrogano alcune sue parole: ‘Il Signore chiede e tutti siamo invitati ad accettare questa chiamata: uscire dalle proprie comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo’”, ha esordito l’arcivescovo, dopo una breve introduzione iniziale.

Quali, dunque, queste periferie? “Il Papa parla di periferie esistenziali che vedono messe, costrette ai margini della miseria, della solitudine, della violenza, dell’emarginazione, un numero sempre più crescente, in spaventoso aumento, di uomini e donne che vedono mortificata e immiserita nella sua dignità il dono più bello: la vita”, ha ricordato l’arcivescovo.

“Per tutti noi – ha continuato - oggi è un giorno di festa. Potremmo dire, ed è bello, che c’è una sorta di deriva comunitaria alla festa. Viviamo, non tutti però, come giornata libera da paure, da tristezze, dai mille problemi che ci travagliano, che ci costringono a tagliare, a ridurre, a non comprare, a trovare modi e forme per far fronte ai bisogni anche elementari della vita di ogni famiglia”.

Monsignor D’Ambrosio ha ricordato le “le previsioni catastrofiche” propinate ogni giorno dai mezzi di comunicazione e non solo, e tutte le promesse, con sua sottile vena di amara ironia che spesso lo contraddistingue: “I cento, i mille giorni, state buoni se potete, tranquilli. Poi ci viene detto che quel piccolo segno, il più di crescita è diventato  meno. Ma poi alla ricerca di strane consolazioni continuano col dirci, storia di questi giorni: non vi preoccupate, anche la gran ferrea madre dell’Unione Europea, la sua locomotiva, è costretta a fare i conti con il segno negativo: il meno”.

“Questo è quanto il momento presente ci fa vivere. Quali i risultati? L’aumento delle nostre periferie esistenziali”, la sua conclusione.  “La nostra festa non può allontanarci da queste periferie che sono tante anche tra noi”. Ecco, allora, il primo riferimento. Borgo San Nicola, una frazione di Lecce in piena periferia da cui per estensione trae nome il plesso carcerario. Monsignor D’Ambrosio ha sempre avuto parole per loro, i reclusi. Sono stati i primi ad accoglierlo al suo arrivo in città, cinque anni or sono.  “Quest’anno non è un semplice saluto”, ha voluto però precisare: “E’ denunzia di una situazione che mortifica e lede la dignità di questi nostri fratelli detenuti”.

Parole dure, quelle dell’arcivescovo, la summa di tante situazioni di cui spesso e volentieri s’è scritto, a partire dal dramma del sovraffollamento. “E’ questa realtà una struttura pesante, situata alla periferia della nostra città, è difficile che ci siano sguardi indiscreti su di essa. E’ un corpo estraneo al contesto della città. E’ una realtà sociale scomoda – ha detto ancora monsignor D’Ambrosio -, una vera sacca di emarginazione sociale”.

“Vengo a dirvi che il carcere è veramente una periferia esistenziale oltre che reale, in cui sono tanti i problemi e le povertà che si vivono: sovraffollamento, carenza di prospettive educative, ozio obbligato, talvolta carenza della sicurezza del diritto e della pena. E’ un luogo di sofferenza non sempre di redenzione – ha voluto rimarcare -, ma carico di aspettative e di esperienze di solidarietà e di attenzione alla dignità umana”.

“Ci raggiunge una parola di Gesù: ero nudo, affamato, malato, carcerato e sei venuto a trovarmi.  La condizione dunque di detenuto è tra le povertà in cui il Cristo s’identifica. La differenza tra la concezione di pena secondo i canoni dei vari ordinamenti giuridici e la giustizia divina, è veramente grande. Nella prima prevale il senso della punizione – ha spiegato D’Ambrosio -, nella seconda quella dell’amore e della misericordia. Per noi cristiani il carcere è una sfida, è un termometro per la nostra fede. Se siamo capaci di farci carico di questa porzione di Chiesa che è fatta di fratelli difficili, è segno che nel nostro cuore fa breccia la novità che viene dal messaggio evangelico”.

L’arcivescovo ha voluto ricordare quanti operano in questa particolare periferia, quelle associazioni di volontariato che promuovono il reinserimento sociale. Ed ha menzionato il lavoro svolto dalla Caritas Diocesana, che da alcuni mesi, “in piena collaborazione con la struttura carceraria e l’autorità di sorveglianza, porta avanti il progetto ‘70volte7’ finalizzato all’avvio e alla conseguente gestione di un Centro sociale rieducativo per detenuti con l’ammissione di alcuni detenuti al lavoro estraneo al carcere e ad attività formative giornaliere”.

“Esperienza nuova – ha spiegato -che, in aggiunta alle altre associazioni di volontariato, dona a noi credenti la possibilità di essere fedeli al mandato di Gesù: ero carcerato e non mi avete abbandonato”.

Inevitabile, quindi, un segnale lanciato alle istituzioni “chiamate a farsi carico ad esempio degli ex detenuti in difficoltà e che raramente riescono ad assolvere il loro compito per mancanza di fondi”, ed ecco perché “a noi credenti, l’impegno a non volgere le spalle a questi nostri fratelli difficili”.

Secondo intervento, sui poveri. Numeri da brivido, quelli snocciolati dall’arcivescovo. Numeri che forse non tutti conoscono e che offrono uno spaccato di una Lecce nascosta agli occhi dei più. La periferia esistenziale ai margini dello sfavillante e ricco gioco di forme del barocco.

“Nei circa venti mesi dalla sua apertura questa Casa (la Casa della carità, Ndr) ha accolto oltre mille 550 ospiti da trentadue diversi Paesi con 9mila 900 pernottamenti e la distribuzione di oltre 23mila pasti, servizio docce, consulenza medica e legale”, ha detto l’arcivescovo. “Da aggiungere gli oltre 500 ospiti che ogni giorno trovano un pasto, un sorriso, un’accoglienza nelle varie mense che la carità della nostra Chiesa dona con un esercito di volontari, e tra essi, ed è segno di fresca speranza, molti i giovani”. 

“Quale il miracolo di questa carità? Aver intaccato nella sua graniticità  la periferia esistenziale dei vecchi e nuovi poveri. Ne do atto, e dico tutta la mia gratitudine e convinzione. Per loro abbiamo aperto e continuiamo ad aprire le nostre case, le nostre Chiese. Ma tutto questo non basta, non può bastare”.

Rinnovando la sua gratitudine verso gli operatori, monsignor D’Ambrosio ha voluto ricordare quanto offerto fino a oggi: “Tre ambulatori medici con tutte le necessarie prestazioni anche specialistiche grazie anche all’impegno della e alla piena disponibilità dell’Asl di Lecce, al centro di distribuzione farmaci, ai due empori della solidarietà, ai vari centri di accoglienza e di ascolto, alla distribuzione di generi di prima necessità per circa 170mila persone”.

E ancora: “Il progetto ‘Il prestito della speranza’ patrocinato dalla Caritas Italiana e finanziato dalla Ceio che ha erogato prestiti per oltre 300mila euro per aiuto a famiglie in forte disagio”. Inevitabile poi un rimando a quello che ha definito “l’ultimo fiore all’occhiello”, già annunciato al termine della processione dello scorso anno: “Il ‘microcredito Sant’Oronzo’ che ha permesso l’avvio di due cooperative giovanili e di una terza in itinere”.

Anche gli striscioni polemici dei cassintegrati in piazza Duomo

Le conclusioni

L’arcivescovo, in definitiva, ha voluto evidenziare come il messaggio di quest’anno abbia un sapore diverso. “Facciamo festa ma non giriamo le spalle e il viso di fronte alle tante miserie che affliggono molti, forse troppi, della nostra comunità e i tanti che vengono a stare con noi. A tutti voi costituiti in autorità per servire e dare risposte – ha aggiunto, rivolgendosi alle istituzioni - chiedo sommessamente ma convintamente: non lasciateci soli sui tanti fronti della povertà e dell’emarginazione”.

“Siate certi che i poveri non li manderemo a voi”, ha aggiunto. E poi, il monito: “Ma vi prego di non mandarli con troppa facilità a noi. A volte avvertiamo un peso eccessivo e una gravosa impotenza a evadere attese e richieste. C’è ormai tra noi un universo silente e invisibile che riesce a mangiare e a vestirsi grazie all’aiuto che la nostra carità riesce ad offrire”.

“La Provvidenza divina non ci abbandona e questa Provvidenza spesso è il grande cuore dei Leccesi e non che in vari modi sanno che devono sostenere, e lo fanno con generosità, la periferia esistenziale delle antiche e nuove povertà”.

“A tutti, ai tanti che evangelicamente non fanno sapere alla sinistra quello che fa la destra e sostengono concretamente la carità della nostra Chiesa, il mio grazie, e nel mio c’è quello degli abitanti della periferia esistenziale della povertà, che bussano anche alla mia porta non solo per chiedere ma anche per ringraziare”. E prima del commiato, con il ricordo delle figure dei Santi Oronzo, Giusto e Fortunato, un ringraziamento “agli operatori della carità, al piccolo esercito dei volontari, gli stakanovisti della carità”. “Perché – usando ancora il gergo degli economisti, ma riempiendolo di un significato nuovo - l’economia dell’amore e del dono  ha un Pil in forte crescita”.

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