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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca Casarano

Potenza e Spennato, due agguati uniti da un passato di sangue e rapine

Le indagini dei carabinieri sul tentato omicidio di Luigi Spennato, il 41enne di Casarano, proseguono senza sosta

LECCE – Un rebus difficile da risolvere, un mosaico da comporre tassello dopo tassello. Le indagini dei carabinieri sul tentato omicidio di Luigi Spennato, il 41enne di Casarano gravemente ferito a colpi di pistola e kalashnikov lo scorso 28 novembre, proseguono senza sosta. Si esaminano gli indizi, si scava nella vita e nel passato criminale della vittima, si cercano riscontri a sospetti e ipotesi. Lui, sopravvissuto miracolosamente a una pioggia di proiettili, è bloccato in un letto di ospedale. Uno dei colpi lo ha raggiunto alla testa, attraversandola da tempia a tempia, parallelamente agli occhi, lesi con ogni probabilità per sempre. Le sue condizioni rimangono gravi e difficilmente potrà fornire, ammesso che sia possibile, un contributo per svelare l’identità di mandanti ed esecutori dell’agguato. Per ora i sospetti si sono concentrati su tre individui, già sottoposti alla prova dello stub, un esame utile a chiarire, attraverso l'analisi dei residui di polvere da sparo, se il sospettato ha esploso dei colpi d’arma da fuoco. Analisi sono in corso anche sulle loro autovetture.

Il sospetto, in realtà più vicino alla certezza, è che l’imboscata di via Madonna della Campana (nei pressi delle abitazione della famiglia del 41enne), sia strettamente collegata all’omicidio di Augustino Potenza, il 42enne assassinato nel parcheggio di un centro commerciale di Casarano il 26 ottobre. Sarà l’esame della balistica (attraverso l’analisi delle impronte di percussione, estrazione ed espulsione) a stabilire se in entrambi gli agguati sia stato utilizzato lo stesso kalashnikov, una firma ben precisa per due delitti simili, dalle modalità spietate.

I due nomi sono accomunati da un passato criminale e da una lunga vicenda giudiziaria. Alla fine degli anni Novanta, infatti, erano stati accostati al clan capeggiato dal brindisino Vito Di Emidio, uno dei criminali più spietati e feroci della storia criminale. Era stato lo stesso boss, che aveva deciso di collaborare pochi giorni dopo la cattura, ad accusarli di aver fatto parte del suo “gruppo di fuoco”. In particolare, per Potenza, di un duplice omicidio (quello dei coniugi Fernando D’Aquino e Barbara Toma, freddati a colpi di fucile mitragliatore il 5 marzo del 1998), per cui era stato assolto con sentenza definitiva. Spennato, invece, era stato condannato in primo e secondo grado a 23 anni in relazione a un altro duplice omicidio, quello di Cosimo Toma e del figlio Fabrizio, trucidati la mattina del 18 maggio del 2000 a Collepasso. La Cassazione aveva annullato la sentenza, stabilendo che un nuovo processo fosse celebrato a Taranto. I giudici della Corte d’Assise d’appello di Taranto avevano assolto sia Potenza sia Spennato, condannato a 3 anni e quattro mesi di reclusione per una rapina commessa a Botrugno.

Ed è verso il passato, inevitabilmente, che porta un’indagine piena di incognite. A cominciare da quell’immenso tesoro accumulato con le rapine dal gruppo capeggiato da Di Emidio e mai ritrovato, se non in piccola parte dopo il “pentimento”. Anni in cui il nome di Potenza era accostato a quello di Tommaso Montedoro (ritenuto un altro dei luogotenenti di “bullone”), attualmente ai domiciliari in Liguria e tornato di recente nel Salento per presenziare a un processo che lo vede imputato per omicidio. Potenza e Spennato potrebbero essere stati testimoni scomodi di un passato di sangue o aver deciso di spodestare vecchi alleati, pagando con il sangue. Resta da vedere se al sangue si risponderà con altro sangue, nella fredda e spietata logica delle guerre di mala. 

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