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Cronaca

Presunta truffa ai danni di una cliente, chiuse le indagini su quattro avvocati

L'inchiesta condotta ddal Nucleo di polizia giudiziaria della guardia di finanza, guidato dal colonnello Francesco Mazzotta

LECCE – Sono quattro gli avvisi della conclusione delle indagini preliminari notificati nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta truffa ordita nei confronti di una donna senegalese. Il provvedimento riguarda, oltre gli avvocati F.D’A., 38 anni, e G.G., 37 anni, arrestati lo scorso 12 ottobre, anche altri due legali: gli avvocati N.M., 74 anni, e F.V., 38 anni.  L’inchiesta è stata condotta dagli uomini del Nucleo di polizia giudiziaria della guardia di finanza di Lecce, sotto la guida del colonnello Francesco Mazzotta. Le accuse sono di truffa aggravata, falso, autoriciclaggio (aggravato dall’esercizio dell’attività professionale) e patrocinio infedele. G., assistito dagli avvocati Alberto Russi e Giancarlo Dei Lazzaretti, è tornato in liberta alcuni giorni fa dopo quattro mesi trascorsi ai domiciliari. Per D’A. si attende invece la fissazione dell’udienza in Cassazione. Il gip Cinzia Vergine ha accolto, lo scorso 21 novembre, l’istanza dei legali di D’A., gli avvocati Luigi e Roberto Rella, concedendo i domiciliari. A fine anno, però, su opposizione del sostituto procuratore Massimiliano Carducci (titolare del procedimento) i giudici del Riesame hanno aggravato la misura cautelare (con il ripristino del carcere), che resta comunque sospesa in attesa del ricorso alla Suprema Corte presentato dalla difesa.

La vicenda ruota attorno alla figura di una donna senegalese di 34 anni, vittima di un terribile incidente stradale nel 2010 (in cui ha subito lesioni permanenti) e assistita dall’avvocato F.D’A.. Nei suoi confronti il Tribunale di Trieste (competente per i casi riguardanti il Fondo vittime della strada) ha disposto un risarcimento di 636mila euro. Secondo l’ipotesi accusatoria il legale avrebbe raccontato alla sua cliente che la somma stabilita era di circa 236mila euro (versati in due tranche), presentando anche una falsa sentenza e trattenendo il denaro restante, transitato su un conto aperto a nome della donna straniera ma gestito di fatto dallo stesso avvocato. Da quel conto avrebbe pagato alcune spese legate alla sua professione (ad esempio per lo studio e i compensi dei collaboratori) e personali, come viaggi e i mobili della sua abitazione e un ombrellone in un lido a San Cataldo.

D’A. ha spiegato di aver utilizzato solo ed esclusivamente il denaro derivante dal cosiddetto patto di quota lite (la convenzione fra il cliente e l’avvocato con la quale è fissata come compenso professionale, in caso di vittoria, una parte dei diritti che formano oggetto della lite o del procedimento, in questo caso il risarcimento). Quei soldi, dunque, spettavano al legale secondo un accordo con la vittima dell’incidente stradale. L’indagato ha poi negato in maniera assoluta di aver contraffatto la sentenza, senza saper indicare il possibile autore ma certo che dalle consulenze sui pc sequestrati possa emergere l’assoluta estraneità ai fatti contestati. In quanto all’apertura del conto e la gestione dello stesso, il 38enne ha spiegato che è avvenuto secondo un rapporto di assoluta fiducia con la sua cliente, di cui ha sempre curato solo ed esclusivamente gli interessi.

A far crollare il presunto sistema truffaldino e a dare avvio all’inchiesta è stata la segnalazione di un’altra cliente originaria di Torino, nota alle cronache per un caso di mobbing che ha fatto scalpore. La donna si era rivolta al legale per un ricorso in Cassazione, mai presentato (secondo l’accusa) da D’A., che avrebbe raccontato alla donna che il ricorso era stato respinto, facendosi versare su un conto corrente la somma di 4mila euro. A insospettire la signora, però, è stato l’intestatario di quel conto, la stessa donna senegalese vittima dell’incidente stradale. Sentita dagli inquirenti, la donna ha dichiarato di essere all’oscuro dei movimenti bancari e ha presentato una denuncia. Da lì gli investigatori hanno esaminato i pagamenti e i bonifici eseguiti dal pc e dal telefono cellulare di D’A..

G. è accusato di indebito utilizzo di carta e ricettazione. L’indagato ha sempre respinto le accuse, evidenziando che la carta utilizzata secondo gli inquirenti in maniera fraudolenta, era stata consegnata dalla stessa donna all’avvocato D’A.. Più marginali le figure degli altri due indagati.

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