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Cronaca

Caso Renda, pressioni e minacce sull’avvocato: “Temo per mio figlio”

Per otto imputati l'accusa è di omicidio e trattamenti inumani. Ma il legale che ha seguito il caso per conto della famiglia ha scritto una mail ai colleghi italiani invitando la madre di Simone a non recarsi da sola in Messico

LECCE – E’ ripreso oggi, dinanzi ai giudici della Corte d’Assise, il processo per l’omicidio di Simone Renda, il bancario leccese di 34 anni deceduto in circostanze misteriose il 3 marzo del 2007, mentre si trovava in vacanza in Messico.

Gli otto imputati, tutti cittadini messicani, sono il giudice qualificatore Hermilla Valero Gonzalez; Cruz Gomez (responsabile dell’ufficio ricezione del carcere); Enrique Sánchez Nájera (guardia carceraria); Pedro May Balam, vicedirettore del carcere; Francisco Javier Frias e Jose Alfredo Gomez, agenti della polizia turistica del municipio di Playa del Carmen; Arceno Parra Cano, vicedirettore del carcere; e Luis Alberto Landeros, guardia carceraria. Le ipotesi di reato nei loro confronti sono di omicidio e violazione dell’articolo 1 della Convenzione Onu contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. 

Sul banco dei testimoni è salito Andrea Renda, lo zio di Simone, che con Francesco Prato e Alessandro Valente, altri due familiari, si recò in Messico per il riconoscimento della salma e il ritiro di tutti i documenti (a partire dal primo referto autoptico, al quale è seguito quello dei giorni scorsi, praticato dal medico legale Alberto Tortorella). Ai giudici il teste ha raccontato, ricalcando quanto già deposto agli inquirenti nella fase delle indagini, di come le autorità locali all’epoca abbiano minimizzato la vicenda, cercando di chiudere in fretta il caso e provando addirittura di cremare il corpo. In aula anche il dirigente della questura di Lecce Emma Ivagnes, che con il pubblico ministero Angela Rotondano raggiunse Playa del Carmen per svolgere alcune indagini e accertamenti, e che ha testimoniato come l’atteggiamento delle autorità locali sia stato poco collaborativo, al limite dell’ostruzionismo.

Oggi la Corte avrebbe dovuto sentire anche l’avvocato Leonardo Tedesco, il legale che seguì dal Messico, per conto della famiglia Renda, il processo (ai limiti della farsa) celebrato dalla magistratura messicana per la morte di Simone Renda. L’avvocato Tedesco, però, non era presente in aula. In una mail inviata al collega Fabio Valenti , uno dei legali di parte civile con gli avvocati Pasquale e Giuseppe Corleto, ha spiegato di aver ricevuto pressioni e minacce in Messico. “Ho un figlio di dieci anni – ha spiegato nella mail –, temo possa accadergli qualcosa”. Tedesco ha anche invitato la mamma di Simone Renda, la signora Cecilia Greco, a non recarsi in Messico da sola.

Per l’accusa, rappresentata dal procuratore Cataldo Motta e dal sostituto Carmen Ruggiero, fu un omicidio volontario, commesso “sottoponendo Renda a trattamenti crudeli, inumani e degradanti al fine di punirlo per una presunta infrazione amministrativa durante la sua detenzione nel carcere municipale di Playa del Carmen”. Simone Renda fu arrestato due giorni prima del decesso dalla polizia turistica con l’accusa di ubriachezza molesta e disturbo della quiete pubblica, e rinchiuso in una cella di sicurezza. Al momento dell’arresto il medico in servizio aveva diagnosticato un grave stato clinico dovuto a ipertensione e un sospetto principio d’infarto, prescrivendo immediati accertamenti in una struttura ospedaliera. Le richieste del medico non furono ascoltate e il turista salentino fu trattenuto in stato di fermo senza ricevere assistenza sanitaria, abbandonato a se stesso. Senz'acqua e senza cibo per 42 ore, morì completamente disidratato. 

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