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Cronaca

Operazione Sabr, rinviati a giudizio i sedici presunti sfruttatori

Per datori di lavoro, cassieri, caporali e capisquadra il processo inizierà il prossimo 31 gennaio, dinanzi al giudice della Corte d'assise. Parti civili la Cgil, la Camera del lavoro e l'associazione neretina "Finis Terrae"

LECCE – Si aprirà il prossimo 31 gennaio, dinanzi ai giudici della Corte d’assise di Lecce, il processo scaturito dall’operazione “Sabr”, condotta dai carabinieri del Ros, guidati dal colonnello Paolo Vincenzoni, e del comando provinciale di Lecce, al comando del colonnello Maurizio Ferla, che ha delineato la struttura piramidale di un’organizzazione criminale transnazionale, dedita al favoreggiamento dell'ingresso di clandestini nel territorio italiano, per la maggior parte tunisini e ghanesi, destinati a essere sfruttati nella raccolta di angurie e di pomodori. Il gup Alcide Maritati ha rinviato a giudizio 16 imputati. Altre quattro posizioni sono state già stralciate e archiviate.

Nel corso dell’udienza preliminare si sono costituiti come parti civili la Flai Cgil,, la Camera del lavoro, l'associazione “Finis terrae”, e quattro lavoratori tra i quali c’è anche Yvan Sagnet, leader dello sciopero dei braccianti stranieri ribellatisi nell’estate del 2011 allo sfruttamento.

Secondo quanto emerso dall’inchiesta portavano nel Salento, passando per Rosarno e la Sicilia, le nuove rotte degli schiavi e dello sfruttamento della manodopera africana. Con il trascorrere dei secoli sono cambiate dunque le vie e le destinazioni di un sistema che ha trasformato i deportati in reclutati.

Al vertice della piramide ci sarebbero stati i datori di lavoro salentini, cui si affiancavano caporali, cassieri e capisquadra. I datori di lavoro sono gli imprenditori e proprietari terrieri: i neretini Marcello Corvo; Livio Mandolfo; Salvatore Pano; Corrado Manfredi e Giuseppe Mariano, di Scorrano; e Giovanni Petrelli. Pantaleo Latino, detto “Pantalucci”, 58enne di Nardò, sarebbe stato il referente per tutti, costantemente in contatto con il reclutatore Saber Ben Mahmoud Jelassi. A lui si sarebbero rivolti gli altri imprenditori in cerca di uomini da utilizzare come bestie nei campi.

Ventidue furono le misure cautelari emesse dal gip di Lecce Carlo Cazzella, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, in particolare del procuratore Cataldo Motta e del sostituto Elsa Valeria Mignone. Otto quelle eseguite nella provincia di Lecce, mentre il resto dei provvedimenti fu operato nelle province di Bari, Pisa, Caserta, Reggio Calabria, Palermo, Agrigento, Siracusa e Ragusa. Sei le persone ancora ricercate.

I capi d’imputazione, che vanno dall’associazione per delinquere alla riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, all’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, estorsione e falso, comprendono anche la tratta di persone. Le indagini, iniziate nel gennaio del 2009, sono proseguite fino a ottobre 2011. Determinati, sono state le dichiarazioni di alcune vittime, coraggiose nel denunciare le condizioni di vita disumane cui erano stati sottoposti nelle campagne di Nardò.

I lavoratori stranieri erano impiegati nei campi di raccolta a condizioni inumane, al limite della sopportazione psico-fisica, e remunerati con paghe al di sotto della soglia di povertà, con una paga che oscillava tra i 22 e i 25 euro al giorno, con un orario di lavoro di 10-12 ore al giorno. Una parte consistente del salario, inoltre, andava al caporale e all'intermediatore, il resto era destinato alle spese per la sopravvivenza.

Dalle intercettazioni telefoniche emergono chiaramente le condizioni lavorative disumane a cui erano costretti gli immigrati. “Ora quelli te li sfianco fino a questa sera...”, dice un caporale. “Quelli volevano pure bere e non c'era nessuno che gli dava l'acqua...”, spiega sogghignando un caposquadra.

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