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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca Guagnano

Ragazza salentina morì in gioco erotico, condanna per ingegnere romano

La sentenza, in abbreviato, del gup di Roma: 4 anni e 8 mesi. Le accuse rivolte al 45enne Soter Mulè. Nel settembre del 2011, a causa della pratica dello shibari, morì la 23enne di Guagnano Paola Caputo. Un'altra giovane in coma

ROMA – Quattro anni e otto mesi. Questa la condanna inflitta, in primo grado, a Soter Mulè, ingegnere romano, 45enne, appassionato di fotografia e noto negli ambienti del bondage di Roma, accusato di aver provocato la morte della 23enne Paola Caputo di Villa Baldassarri, frazione di Guagnano, studentessa fuori sede all'università "La Sapienza", nella notte fra il 9 e il 10 settembre del 2011, al culmine di un gioco erotico sfociato in tragedia, in un garage di un palazzo in via di Settebagni, nel quartiere capitolino della Bufalotta, a Roma. La sentenza è stata emessa dal gup di Roma Giacomo Ebner al termine del procedimento, con rito abbreviato, avvenuto nella Capitale.

L’accusa originaria, di omicidio preterintenzionale, è stata derubricata in omicidio colposo, con l'aggravante della previsione dell'evento. L’altra imputazione che incombeva sulla testa di Mulè era di lesioni colpose gravi. Sempre quella notte, infatti, un’altra ragazza, di 24 anni, entrò in coma, a causa della stessa pratica, lo shibari.

Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, Mulè, quella notte, avrebbe legando le due ragazze con una che trae spunto da un’antica forma artistica di legatura giapponese, divenuta col tempo una pratica sessuale estrema. Vale a dire, legando più parti del corpo fino al collo. L'ingegnere romano fu arrestato, in prima battuta, con l'accusa di omicidio volontario con dolo eventuale, poi derubricata in omicidio preterintenzionale. Il 45enne aveva poi ottenuto gli arresti domiciliari, e l'ipotesi di reato nei suoi confronti era stata riformulata dal gip in omicidio colposo.

Nelle sette pagine di ordinanza con cui aveva convalidato l'arresto e disposto i domiciliari di Soter Mulè, il gip del Tribunale di Roma, Marco Mancinetti, aveva evidenziato che da parte di Mulè "non vi è stato alcun comportamento di prevaricazione, di minaccia o di costrizione per indurre le due vittime ad accettare di essere legate". "In ogni caso - si leggeva nell'ordinanza - quella posta in essere dall'indagato è stata una gravissima imprudenza, contrassegnata dall'aver dato corso a una pratica in cui egli stesso si definisce poco esperto e che è oggettivamente rischiosa".

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