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Cronaca Otranto

Schianto e feriti, drammatico sbarco per circa 200 migranti

L'imbarcazione alla deriva fra Santa Cesarea e Porto Badisco. Diversi con fratture. I profughi condotti al Don Tonino Bello di Otranto. Lavoro frenetico per volontari e forze dell'ordine, in un quadro di forte difficoltà

SANTA CESAREA TERME/OTRANTO – Il maestrale si abbatte come una falce gelida sulla notte. L’imbarcazione, un vecchio baglietto di una ventina di metri, battente bandiera turca, è coricata su un fianco, ad alcune decine di metri dalla riva, in un tratto di scoglio antico come il mondo, fra Santa Cesarea Terme e Porto Badisco, nei pressi di Villaggio Paradiso. Dove la leggenda vuole che sia approdato Enea, in duecento si arrampicano lungo la roccia scivolosa, accettando la mano tesa dei soccorritori, militari della guardia di finanza, volontari della Croce rossa e della “Misericordia” di Otranto, personale del 118, molti gettati giù dal letto e chiamati a compiere, per l’ennesima volta, il proprio dovere, mentre ancora riecheggia nell’aria la tragedia di Carovigno

E’ solo per un caso che non ci siano altri morti, che non si faccia l’amara conta dei dispersi. Una cosa è però certa. La sensazione, mettendo in parallelo i due ultimi, drammatici eventi, contando soprattutto i numeri, è che l’emergenza stia diventando un’onda in piena.

I viaggi si fanno più frequenti, i carichi più corposi, e neanche la rigidità dell’inverno segna una tregua. Indagini e arresti non hanno messo un argine concreto ad un fenomeno che si alimenta della disperazione di emarginati che sembrano provenire da un altro mondo, bucare gli schermi delle televisioni che esibiscono lande desolate di terra e fango come fossero frammenti di pianeti lontani, e improvvisamente materializzarsi in carne ed ossa in quest’ultimo lembo di Occidente, cerniera di terra e mare con il Levante.

Come svegliarsi dal torpore, scoprire che non sono fantasmi di una fiction, ma persone in carne ed ossa.

E’ mezzanotte. I migranti hanno dondolato per interminabili ore in precarie condizioni, tra le onde di un mare nero e schiumoso, sfidando la sorte. La fortuna li abbandona quasi all’approdo. Lo schianto nel buio, sulle rocce salentine, dopo essere stati intercettati dalle motovedette della guardia di finanza del reparto operativo aeronavale di Bari e del gruppo aeronavale di Taranto: probabilmente una manovra azzardata, nel tentativo di un'improbabile fuga. Si apre una falla nello scafo, l'imbarcazione s’inclina e imbarca acqua. Un uomo si getta persino in mare. Si alzano in cielo due elicotteri.

L’orrore e le urla, nella fuga verso riva, sfidando il freddo impietoso dell’ultimo tratto. La macchina dei soccorsi è però rapida e, ormai, collaudata. Nel giro di un’ora arrivano i pullman, ci sono acqua e cibo, la destinazione è già fissata: Otranto, centro di prima accoglienza “Don Tonino Bello”. E’ già il momento dei numeri, seguiranno l’identificazione, e la ricerca degli scafisti, i criminali celati fra i fuggitivi da guerra e fame. Sarebbero sette, secondo quanto accertato finora.

La prima conta vuole che siano in centoventidue, i migranti. Ci sono anche molti giovani, e anche bambini: dieci i minori accertati finora. Ma giungeranno  a breve altri pullman. Nei minuti che s’inseguono, si arriva a parlare di duecento persone. La cifra, si assesta a quota centottantanove in tarda mattinata. Alcuni verranno rintracciati solo nelle ore successive. E colpiscono alcuni segni di vittoria, con indice e medio, e pugni al cielo. "Ce l'abbiamo fatta". Il sogno di una nuova vita. O forse, è solo la pace ritrovata in un letto caldo, seppur da condividere con due, tre compagni di viaggio, dopo la traversata e l'umido ficcante nelle ossa.

Dopo il drammatico sbarco: i volti dei migranti

Qualcuno parla inglese ed elenca le nazionalità. Vengono da Siria, Pakistan, Iraq, Afghanistan, ma ci sarebbe anche un gruppo di palestinesi. Pare che abbiano sborsato migliaia di euro ciascuno per salpare dalla Turchia e seguire rotte clandestine verso l’Italia meridionale. Un copione già visto.

Diversi sono feriti. Un migrante accusa un malore proprio all’arrivo nel centro idruntino. Un altro ha una sospetta frattura al bacino. Molti sono bagnati fradici, e in ipotermia. Si aggiungono a quanti già soccorsi già a Santa Cesarea (un uomo con fratture, una donna incinta bisognosa di particolari attenzion, i suoi due figli), tutti ricoverati a Scorrano) nei primi, drammatici istanti dopo lo sbarco, il più massiccio sulle coste della provincia di Lecce degli ultimi anni, superiore anche a quello di giugno, quando in oltre centotrenta arrivarono dal Nordafrica. Un quadro a tinte fosche, mentre sorgono problemi logistici e monta l’incertezza: il centro, si sa, può, a malapena, ospitare una cinquantina di persone. Nel recente passato, ci sono state anche mezze sommosse.

Si farà alba in una situazione di disagio, i soccorritori si muovono come trottole impazzite da una località all’altra. Le sirene di finanza, polizia, carabinieri, tagliano in due la notte, in attesa di istruzioni precise dalla Prefettura. Un gruppetto, inizialmente sfuggito ai controlli, viene recuperato nell'entroterra, verso Cocumola, frazione di Minvervino di Lecce

E proprio dalla Prefettura arrivano nelle prime ore del mattino nuove indicazioni. Centro Migrantes e Caritas diocesana si attivano per fornire capi di abbigliamento e calzature, della cui distribuzione si occupa la protezione civile. L’imbarcazione, dopo lo scontro, ora alla deriva a circa 500 metri dalla costa, è monitorata dalla capitaneria di porto e dal rimorchiatore della Castalia, messo a disposizione dal ministero dell’Ambiente. All'emergenza, si sovrappone un rischio d'inquinamento. Per ora, la situazione è comunque sotto controllo. 

Intanto, qualche centinaio di chilometri più su, venti a nord di  Brindisi, sarà l’ultimo giorno di ricerche in mare, dopo il naufragio passato tristemente alle cronache. Un carico di responsabilità che, se confermata la tendenza di sbarchi sempre più  grossi, il Salento non potrà continuare ad affrontare in eterno da solo, fidando solo nel sacrificio di pochi volontari e del personale delle forze dell’ordine locali. La periferia chiama. Roma, risponderà?

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