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Cronaca

Omicidio Padovano, la sentenza: ergastolo per il fratello e il cugino

La Corte d'Assise di Lecce ha emesso il dispositivo di condanna sposando la linea della pubblica accusa: carcere a vita per Rosario Padovano e per Giorgio Pianoforte. Fabio Della Ducata assolto dall'accusa di concorso in omicidio per non aver commesso il fatto

LECCE – Ergastolo per Rosario Pompeo Padovano, il fratello, ergastolo per Giorgio Pianoforte, il cugino. Per l’omicidio di Salvatore Padovano, avvenuto il 6 settembre del 2008 a Gallipoli,  la Corte di Assise di Lecce ha sposato la tesi della pubblica accusa accogliendo quasi tutte le richieste di condanna avanzate il 4 luglio dal pubblico ministero Elsa Valeria Mignone.

La pena detentiva inflitta ai sei imputati del processo è stata tangibilmente attenuata solo in un caso, quello di Fabio Della Ducata, per il quale, a fronte dei 22 anni invocati, ne sono stati comminati 11 e 8 mesi, essendo stato ritenuto innocente del reato di concorso in omicidio "per non aver commesso il fatto". Medesima condanna anche per Massimiliano Scialpi, a fronte di 12 anni richiesti, e per Cosimo Cavalera, per il quale il pubblico ministero aveva invocato 9 anni, mentre Giuseppe Barba dovrà scontare 5 anni e nove mesi a fronte dei 3 anni chiesti dall’accusa. Tutti e tre rispondevano di associazione a delinquere di stampo mafioso. 

L’ex sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Lecce, Elsa Valeria Mignone, nella sua requisitoria aveva ricostruito il contesto nel quale l'efferato fatto di sangue avrebbe avuto origine. Un delitto di chiara matrice mafiosa scaturito dai contrasti sorti tra i Padovano all’indomani della loro scarcerazione. Rosario, come riportano gli atti del procedimento, “scarcerato dal carcere di Spoleto e rientrato a Gallipoli nel settembre 2007, adottava le iniziative per assumere la direzione dell’associazione e ricostruire i rapporti con gli associati di “Gallipoli vecchia” (tra cui gli imputati Massimiliano Scialpi, Giuseppe Barba, Cosimo Cavalera e Fabio Della Ducata) in chiaro contrasto con la volontà del fratello Salvatore”.

Quest’ultimo, la cui detenzione si era conclusa nel dicembre del 2006 con il ritorno nella città jonica, “aveva ripreso a tenere comportamenti da capo mafia, distribuendo consigli e suggerimenti per regolare contrasti e controversie, ed aveva – prendendo le distanze proprio da quei personaggi della Gallipoli vecchia” perché ritenuti di scarso spessore criminale ed ancorati a vecchi schemi consortili – privilegiato lo storico collegamento con i monteronesi del clan Tornese, rinsaldando subito i rapporti con gli stessi”. Due strategie diverse, che hanno indotto i fratelli ad inevitabili conflitti. Rosario, in particolare, si sarebbe sentito ridotto in posizione marginale, “limitato nelle sue mire egemoniche” e preoccupato “per l’attenzione delle forze di polizia al territorio gallipolino, richiamata dalla condotta spavalda e prepotente del fratello”.

Gli affari del clan Padovano gestiti da “irriducibili”

In quest’ottica sarebbe maturata la decisione di Rosario Padovano, come mandante, di far uccidere Salvatore, alias “Nino bomba” per mano di Salvatore Mendolia, collaboratore di giustizia ed autoaccusatosi dell'omicidio, che è stato condannato a 14 anni con il rito abbreviato. Della Ducata gli avrebbe fornito ospitalità a Gallipoli, presso la propria abitazione, e gli avrebbe consegnato, pochi giorni dopo l’omicidio (a Casamassima, in provincia di Bari), una parte dei 10mila euro di compenso pattuito, pari a 6mila 770 euro. Pianoforte, cugino dei Padovano, avrebbe chiamato Salvatore fuori dalla pescheria di famiglia “dicendogli che una persona gli aveva tamponato la macchina”. In realtà, ad attenderlo vi era Mendolia che l'avrebbe freddato con quattro colpi sparati con una pistola “Beretta modello 83 F”.

Diversa la versione fornita da Rosario Padovano, reo confesso dell’omicidio, per cui si sarebbe trattato soltanto di “una vicenda familiare”, in cui lui è stato il mandante e Mendolia l’esecutore materiale. Carmelo Mendolia, collaboratore di giustizia che si è autoaccusato come esecutore materiale dell’omicidio, era già stato condannato a 14 anni di reclusione con la formula del rito abbreviato. Gli imputati sono stati assistiti dagli avvocati Paola Scialpi, Luigi ed Alberto Corvaglia, Luigi Piccinni, Gabriele Valentini, Ivana Quarta, Angelo Ninni, Francesca Conte e Marco Castelluzzo.

Padovano è stato inoltre condannato anche al risarcimento danni - da liquidarsi in separato giudizio, con una provvisionale di 50mila euro - in favore di Rosa Salerno, costituitasi parte civile in rappresentanza della famiglia di Carmine Greco, ucciso il 13 agosto del 1990. Le indagini sull'omicidio di "Nino Bomba" hanno infatti consentito di far luce anche su quel delitto, che sarebbe maturato per punire l'attività da "cane sciolto" della vittima nello spaccio di droga: anche in quel caso Mendolia sarebbe stato l'esecutore, Rosario Padovano il mandante.

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