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Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca

Sequestro da 13 milioni di euro: allo Stato il patrimonio degli uomini di fiducia del clan

I militari della guardia di finanza impegnati dalle prime luce del giorno nell'apposizione dei sigilli ai beni appartenenti a un gruppo criminale con base operativa a Galatina

LECCE – E’ scattato un paio di settimane addietro il maxi sequestro di beni per 13 milioni di euro, appartenenti a individui ritenuti vicini al clan dei Coluccia di Galatina. Non è che il filone di indagine “economico” che fa seguito all’altro, criminale, dell’11 settembre scorso, che ha puntato i riflettori su un'associazione a delinquere dedita all'attività di estorsione, riciclaggio e usura. Nomi noti alle cronache locale sono stati accusati, in quell'occasione, di aver "offerto" tassi di interesse che oscillavano tra il 121 e il 183 per cento dell'importo erogato. Oggi però, a 24 immobili, 21 autovetture, due supermercati, un "compra oro",  un’agenzia immobiliare, e 8 tra fondi pensione e polizze assicurative  (già conosciuti dai finanzieri di Lecce dalla scorsa operazione) sono stati apposti i sigilli. Il patrimonio immobiliare e bancario finito nelle casse dello Stato è dislocato tra la stessa Galatina, il territorio di Aradeo, capoluogo salentino e, soprattutto, Melendugno.

Gli arresti, a settembre, sono scattati nei confronti  di Luciano Notaro, 70enne nato a Grottaglie e residente a Galatina, fratello di Mario Notaro, pregiudicato di 72 anni, nato a Sant’Angelo in Vado (Pescara) e residente a Galatina;  Antonio Gianluca Notaro, 44enne nato e residente a Galatina (figlio di Luciano); Luigi Nuzzaci, 65enne di Galatina;  Francesco Palumbo, 44enne di Melendugno; Italo Scudella, pregiudicato 86enne nato a Taranto e residente a Surbo; Fabio Sparapane, 29enne di Galatina e figlio di Luigi Sparapane, 57enne nato a Soleto, cognato di Mario e Luciano Notaro e cha ha scontato già una detenzione per 416/bis.  Ai domiciliari è invece finito Carlo Palumbo, 80enne pregiudicato per usura nato a Galatina, ma residente ad Aradeo,  padre di Francesco.

Ma a finire nelle mani dello Stato, nei giorni scorsi, anche una motocicletta, 54 conti bancari, e quote di altri esercizi commerciali.  Se nella precdente  tranche investigativa - nella quale, oltre ai nove arrestati, sono spuntati i nomi di decinde di altri indagati– il sequestro di beni si è tradotto in una somma di circa 5 milioni, questa volta è aumentato esponenzialmente, come lo stesso procuratore della Repubblica di Lecce, Cataldo Motta, ha illustrato durante una conferenza stampa. Dove, tra gli altri, erano anche presenti il sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia, Alessio Coccioli, il comandante provinciale, colonnello Bruno Salsano, e quello della sezione tributaria, colonnello Nicola De Santis.

Questi ultimi, accertato nel corso degli ultimi mesi, diversi episodi di usura, estorsioni, riciclaggio e reimpiego di denaro proveniente da attività criminali, sono giunti ai provvedimenti di questa mattina, nell’ambito di un’attività denominata “As Petro”. Come già messo in evidenza in autunno, quando sono scattate anche le manette, la “riscossione” delle somme di denaro richieste alle vittime, sarebbero state pretese con prepotenza e violenza. Una parte di quei proventi ottenuti con quelle modalità discutibili, venivano poi impiegate per finanziare le attività commerciali come compro oro o supermercati,  di solito intestate alle mogli o ad altri prestanome della famiglia. Come se non bastasse, i militari delle fiamme gialle di Lecce hanno anche avuto modo di notare come alcuni degli indagati fossero presenti durante le aste giudiziarie, nelle quali questi esercitavano pressioni e minacce fino ad ottenere l’abbandono, da parte dei malcapitati, della gara.

Gli elementi sospetti per far scattare degli approfondimenti vi erano tutti: è così che i finanzieri del Nucleo polizia tributaria, in collaborazione con i colleghi del Servizio centrale investigativo criminalità organizzata, si sono rivolti alle banche dati centrali per chiarire le loro posizioni fiscali e gli ambiti nei quali erano soliti operare.  Le verifiche patrimoniali, inoltre, hanno messo in evidenza di un enorme divario tra le elevate disponibilità economiche, e i più modesti redditi dichiarati da ciascuno di loro. Un gap che ha portato al maxi sequestro.

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