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Cronaca

Simone e l'inquietante precedente di Filippo Guarracino

Morte per infarto, ha stabilito l'autopsia. A Cancùn, nel 2004, l'episodio di un 30enne di Napoli con singolari analogie. Anche in quell'occasione, gravi sospetti sulla polizia locale. Solo un caso?

Simone Renda è morto d'infarto. Filippo Guarracino anche. Simone, leccese aveva 34 anni. Filippo, napoletano, ne aveva 30 nel 2004, quando il suo cuore si fermò. In un ospedale di Cancùn. Dopo una torbida vicenda dalla quale alcuni membri della polizia locale ne uscirono con pesanti sospetti alle spalle. Il caso fu raccontato dalla popolare trasmissione di Rai3 "Chi l'ha visto". La ricostruzione, molto accurata, si può consultare nell'archivio del sito web di "Chi l'ha visto", consultando il seguente link: https://www.chilhavisto.rai.it/CLV/Misteri/2003-2004/GuarracinoFilippo.htm (copiatelo ed incollatelo nella pagina del vostro browser).

Come se già non bastasse questa inquietante somiglianza dei fatti (nel caso di Simone Renda le responsabilità della polizia di Playa del Carmen, nelle vicinanze di Cancùn, sembrerebbero piuttosto evidenti), ci si può aggiungere una lugubre coincidenza: anche la vita di Filippo si spense nel mese di marzo.

Questa la storia, in breve: Filippo raggiunse il Messico il 10 marzo 2004. Appena due giorni dopo, attraverso il cellulare, iniziò a spedire sms d'aiuto ad amici e parenti. Sua sorella contattò immediatamente il ministero degli Esteri e l'Ambasciata italiana a Città del Messico, ma - a quanto è dato sapere - dovette effettuare più tentativi per richiedere l'intercessione del console onorario, Augusto Pastaccini Daddario. Incredibile l'escalation di vicissitudini vissute dal giovane napoletano e raccontate al console: furto del passaporto in albergo, furto dello zaino da parte di un tassista che avrebbe dovuto accompagnarlo al consolato e che invece lo condusse in aeroporto, richiesta estorsiva in denaro da parte di un locale funzionario di polizia al quale aveva denunciato il tutto.

Il console provvide nell'occasione a sistemare Filippo in un albergo, in attesa del rimpatrio. Ma il 30enne ricontattò nuovamente la sorella: aveva bisogno di altro denaro, la richiesta di soldi, a suo dire, proseguiva si era arrivati alle minacce di morte. Questo accadeva il 16 marzo. Poi, l'incredibile annuncio, arrivato il giorno successivo da parte del console alla famiglia: Filippo era stato ricoverato in ospedale. Il 20, mentre la sorella stava per partire verso Cancùn, la seconda, tragica comunicazione: Filippo era morto per infarto. In quel caso, le autorità messicane si opposero alla presenza di un medico legale italiano e posero la condizione che il corpo potesse ottenere il rimpatrio solo cremato o imbalsamato. Le perizie successive compiute per ordine della procura di Napoli furono ovviamente molto difficili, a causa dell'imbalsamazione.

Ma la storia è decisamente più complessa. Ecco un estratto (rigorosamente virgolettato) dal sito della popolare trasmissione (che vi invitiamo nuovamente a consultare). "Il giorno 16, quaranta minuti dopo l'ultima drammatica telefonata con la sorella, [Filippo] è stato soccorso in stato di grave alterazione emotiva a tre chilometri dal residence, da dove aveva telefonato. A chiamare l'ambulanza sarebbero stati due poliziotti fuori servizio che lo avrebbero bloccato a terra. C'è il dubbio che in quei quaranta minuti Filippo Guarracino sia stato percosso e gli sia stata somministrata una dose massiccia di qualche sostanza allucinogena altamente tossica. Inoltre i periti italiani nominati dalla Procura di Napoli, analizzando il corpo, avrebbero notato diversi segni di percosse".

Il caso di Simone, ovviamente, è tutto in divenire. E molto dipenderà dalle perizie che saranno disposte in Italia. Nel caso di Filippo, le frequenti comunicazioni con la sorella hanno aiutato non poco a chiarire alcuni aspetti. Il fatto di Simone, invece, è contraddistinto da una precipitazione improvvisa degli eventi e da episodi che lo caratterizzano in modo univoco. Restano comunque in piedi i pesantissimi sospetti su membri della polizia locale.

Ecco, dunque, cosa sarebbe successo, secondo quanto è stato possibile ricostruire al momento. Simone Renda è partito i primi di febbraio per una vacanza solitaria in Messico. Dopo aver cambiato alcuni alberghi, a Playa del Carmen (vicino Cancùn) ha preso alloggio presso l'hotel "Posada Mariposa". Giovedì 1 marzo avrebbe dovuto far ritorno in patria. Ed avrebbe dovuto svegliarsi entro mezzogiorno per lasciare la stanza. Ad incaricarsi di questo compito, è stata Luciana Asadorian. La donna ha sostenuto di aver bussato più volte, ma senza ricevere risposta. E di aver comunque aperto la porta, trovando Simone in stato confusionale. Immediatamente è partita la chiamata d'emergenza. Un numero unico, di pronto intervento. Sul posto è quindi giunta la polizia turistica.

Simone a quel punto sarebbe sceso di sua spontanea volontà, tranquillo, forse seminudo. Senza opporre resistenza, come hanno sostenuto i proprietari dell'albergo di fronte ai parenti giunti in Messico nelle scorse ore per il riconoscimento del giovane ed il trasferimento in Italia della salma. A quel punto, lo spostamento nella stazione di polizia. Dove sono stati effettuati degli accertamenti. Con referto, secondo quanto comunicato dai parenti presenti in Messico, che parla di "dolore al petto ed alta pressione". In più: "si sollecita elettrocardiogramma e si consiglia ricovero in ospedale".

Ma da questo momento in poi, il quadro cambia completamente. Innanzitutto, il console italiano Augusto Pastaccini Daddario non sarebbe stato contattato per tempo. E soprattutto, in ospedale Simone non c'è mai arrivato. Semplicemente, quello che oggi sappiamo in Italia, è che è stato tratto in arresto per ubriachezza molesta e disturbo della quiete pubblica. Un fermo preventivo, di 36 ore, che sarebbe stato confermato da un giudice locale. E che, soprattutto, è durato più del previsto. Perché se Simone è entrato in cella, nonostante il malore in crescendo, alle 15,30 di giovedì 1 marzo, conti alla mano la sua cella si sarebbe dovuta aprire alle 3,30 della mattina di sabato. E invece, la porta è stata spalancata alle 8,30, quando il 34enne era già morto. E da poco. Perché la successiva autopsia ha stabilito che il decesso (per infarto, in cui si aggiunge ora questa emorragia cerebrale) è avvenuto alle 7,30 circa. Mistero su mistero, tanto più che a dispetto di una arresto per ubriachezza molesta, nel sangue di Simone non erano presenti tracci di alcuna sostanza.

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