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Cronaca Squinzano

Infanticidio e occultamento di cadavere, 20enne rinviata a giudizio

Saltata la messa alla prova, ritenuta inefficace dal giudice, la giovane squinzanese (all'epoca minore) dovrà affrontare il processo per la morte del neonato trovato in un armadio. Controlli anche per la bimba partorita in seguito

LECCE – Nessun ulteriore colpo di scena, ma era ormai quasi scontato. Con le pesanti accuse di infanticidio e occultamento di cadavere si aprirà il prossimo 14 febbraio il processo a carico di una ragazza di 20 anni da poco compiuti, originaria della zona di Squinzano. Il rinvio a giudizio è stato disposto dal giudice del Tribunale per i minori Ida Cubiciotti.

Nel febbraio del 2017, quando era ancora minorenne, la ragazza partorì un bambino che fu ritrovato privo di vita in un sacchetto di plastica, all’interno di un armadio di casa. Per quella vicenda lei era stata indagata dalla Procura minorile, mentre sorella e cognato, che l’avrebbero agevolata nella situazione, da quella ordinaria. Gli ultimi due, oggi di 28 e 42 anni, sono stati già condannati in primo grado a 14 anni e mezzo ciascuno e sono in attesa del processo d’appello.

La protagonista principale, invece, arriva oggi al processo dopo un percorso a dir poco tortuoso. Inizialmente le era stata accordata la messa alla prova con diverse attività da svolgere nel sociale. Qualora il periodo si fosse svolta senza intoppi, avrebbe ottenuto l'estinzione del reato. Ma proprio la messa alla prova è stata ritenuta blanda dal collegio presieduto dal giudice Ida Cubiciotti, che ha ereditato il fascicolo dal collega Aristodemo Ingusci (temporaneamente assente) e che ha rianalizzato tutto l’iter nel momento in cui si è verificata una circostanza particolare.

Tutto ripartito dopo una nuova gravidanza

Ovvero, dopo sette mesi svolti in maniera proficua, almeno stando ai rapporti del pubblico ministero Anna Carbonara e dei servizi sociali, si è verificata un’interruzione della messa alla prova dovuta a una nuova gravidanza della ragazza, che nel frattempo aveva iniziato a frequentare stabilmente un giovane. La coppia ha così messo al mondo una bambina, ma ora anche per questa vicenda si aprirà un procedimento, in tal caso di natura civile, perché il giudice ha disposto  ai servizi sociali il compito di effettuare alcuni controlli sulla bimba.   

Nelle scorse udienze si era dibattuto su come riprendere e per quanto tempo ancora la messa alla prova. L’avvocato che difende la ragazza, Fabrizio Tommasi, aveva ritenuto che si potesse considerare già conclusa proficuamente (al limite, estendendo il periodo per qualche altro mese) e il pubblico ministero non aveva mosso particolari rilievi, tanto da avanzare inizialmente persino richiesta di non luogo a procedere.

Ma il collegio giudicante prima aveva chiesto un nuovo progetto, considerando il percorso intrapreso, con attività miste sportive di volontariato, poco consono rispetto alla gravità delle accuse mosse (includendo, per esempio, un sostengo psicologico volto a rimuovere il “non ricordo”: la ragazza non ha mai fornito una sua versione dei fatti). Infine, ha optato per rimandare il fascicolo al pubblico ministero in modo che ripartisse dalla richiesta di rinvio a giudizio per entrambi i capi d’accusa.

Verifiche anche sulla nuova bambina

Diversi i rilievi mossi dal giudice. Non solo il fatto che nel corso di tutto il procedimento la ragazza si sia sempre avvalsa della facoltà di non rispondere, ma anche che nel formarsi una sua famiglia, con una nuova bambina, vi siano tutt’oggi alcune criticità, fra cui l’assenza da parte di entrambi di un lavoro stabile e la mancanza di un progetto di vita. Ecco perché anche la richiesta ai servizi sociali di verifiche sul nuovo status. E' in grado, la giovane coppa, di garantire un futuro alla bambina? Questo l'interrogativo principale.  

La scoperta che ha portato al rinvio a giudizio odierno avvenne il 9 febbraio del 2017, quando, a causa di una forte emorragia, la giovane finì in ospedale. Al pronto soccorso del “San Giuseppe da Copertino” i sanitari capirono subito a cosa fosse dovuto il sanguinamento. Tanto che di lì a poco furono interessati i carabinieri di Squinzano.

Al macabro ritrovamento seguirono rapide indagini e l’apertura di due fascicoli a carico della ragazza da un lato e della sorella e del cognato dall’altro. L’autopsia ha poi evidenziato che il neonato sarebbe venuto al mondo già privo di vita, poiché soffocato dal cordone ombelicale, di lunghezza anomala, ma questo non ha fatto decadere l’accusa più grave, quella d’infanticidio.

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