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Cronaca

Strage di Brindisi: confermata in appello la condanna all'ergastolo per Vantaggiato

Ergastolo con isolamento diurno per diciotto mesi. Confermata anche in appello la condanna già inflitta in primo grado a Giovanni Vantaggiato, 70enne di Copertino, imputato per l'attentato avvenuto a Brindisi il 19 maggio 2012, dinanzi alla scuola Morvillo Falcone. Un attentato in cui perse la vita la studentessa sedicenne Melissa Bassi e rimasero ferite altre nove persone

LECCE – Ergastolo con isolamento diurno per diciotto mesi. Confermata anche in appello la condanna già inflitta in primo grado a Giovanni Vantaggiato, 70enne di Copertino, imputato per l'attentato avvenuto a Brindisi il 19 maggio 2012, dinanzi alla scuola Morvillo Falcone. Un attentato in cui perse la vita la studentessa sedicenne Melissa Bassi e rimasero ferite altre nove persone. E' questo il verdetto dei giudici della Corte d’Assise d’appello di Lecce (presidente Rodolfo Boselli), nel processo per la strage di Brindisi. Giudici che hanno confermato l'aggravante della finalità terroristica nella strage. L’imputato dovrà risarcire le parti civili: i genitori di Melissa Bassi, le altre persone ferite nell’esplosione, il Comune di Mesagne, la scuola Morvillo Falcone, il ministero dell'Interno, la Regione, il ministero dell'Istruzione, la Provincia e il Comune di Brindisi.

L’accusa, rappresentata dal procuratore generale Antonio Maruccia, aveva chiesto la conferma della sentenza già inflitta il 18 giugno scorso per un attentato “lucidamente pensato e realizzato”, definendolo “il fatto più grave della storia criminale salentina”.

Il 19 maggio del 2012 era un mattino dolce di primavera, di quelli in cui la vita ti sembra ricca di promesse e sogni facili da realizzare. Soprattutto a 16 anni, un’età in cui l’esistenza ti sembra una lunga storia tutta da raccontare. In pochi istanti, però, la storia di Melissa Bassi, 16enne di Mesagne, fu travolta da una tremenda esplosione mentre si apprestava a varcare l’ingresso dell’istituto professionale “Morvillo Falcone” di Brindisi. Erano le 7.42 di un giorno come tanti. In quell’attentato la vita di Melissa fu spezzata per sempre e quelle di altre nove persone furono segnate indelebilmente. Quell’esplosione, quei corpi dilaniati, gli zaini e i quaderni bruciati e strappati, le lacrime, il dolore, e quelle immagini di un uomo che con un semplice telecomando cancella il futuro e spezza la giovane vita di una sedicenne piena di sogni e speranze, hanno portato la paura nelle case e nelle menti della gente.Giovanni-Vantaggiato1-2

Chi pensava, secondo la più illuministica delle concezioni, che immaginare fosse peggio che vedere, si sbagliava. Quei fotogrammi scatenarono una ridda di emozioni e angosce nei cuori e nei pensieri di ognuno. Tra la voglia di giustizia e quella di vendetta, le due facce della medaglia di chi è stato ferito nel profondo e ha perso qualcosa per sempre, le indagini proseguirono serrate e incessanti. Nella città dove un tempo finiva la via Appia e si apriva la via per l’Oriente, giunsero i migliori investigatori per identificare il responsabile, ma anche i possibili complici della strage.

Nella storia tragica di Melissa fatti, personaggi e circostanze si incrociano come nella più classica delle tragedie greche, ricordando che il male esiste e spesso ci siede accanto. Un male cui si è contrapposto il volto di due uomini, quello del procuratore Cataldo Motta, una vita spesa a combattere la mafia e la Scu, a incarnare il bene capace di sconfiggere l’illegalità, e di uno dei suoi più stretti e fidati collaboratori, Guglielmo Cataldi, magistrato di grandi capacità ed esperienza. A loro, al termine di una querelle tra le Procure di Brindisi e Lecce, era stata affidata una delle indagini forse più complesse della loro carriera da magistrati. Indagini condotte con efficacia e velocità, riservatezza e scrupolo. Un attentato che ha superato anche gli anni più bui della lotta Sacra corona. Questa è stato un altro magistrato di grande esperienza e indubbia capacità, il procuratore generale Antonio Maruccia, a sostenere l’accusa e impersonare la nemesi della giustizia in un processo che nessuno avrebbe mai voluto celebrare.

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