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Cronaca Piazza Sant'Oronzo

“Giù le mani dalla scuola pubblica”: Lecce sciopera compatta contro i tagli

Studenti in corteo, Cgil in piazza in difesa del diritto allo studio "negato dalle nuove manovre del governo che guardano alla privatizzazione". I ragazzi denunciano l'ingresso degli imprenditori nei consigli scolastici

LECCE – “Noi la crisi non la paghiamo” è lo slogan, già sentito, che apre la manifestazione degli studenti e degli universitari di Lecce che aderiscono allo sciopero nazionale del comparto scolastico. Infuria la protesta, infuriano i cori contro il governo di Mario Monti che per mano del suo ministro al ramo, Francesco Profumo, “sta mettendo in ginocchio la scuola pubblica, destinata a diventare un luogo elitario accessibile solo a chi ha i soldi”, spiegano i ragazzi al margine del corteo che ha attraversato tutto il viale dell’Università fino a piazza Sant’Oronzo.

Addio diritto allo studio, gli studenti di Lecce si lasciano prendere la mano assicurando di essere pronti a scatenare “un nuovo ‘68”. Ed il clima che si respira oggi in città (come nel resto del Paese) e che ha illustri precedenti nelle manifestazioni contro l’operato dell’ex ministro Maria Stella Gelmini, conferma questa comune preoccupazione che il solco verso la privatizzazione dell’istruzione sia già stato, irrimediabilmente, tracciato. Sembra essere solo questione di tempo e poi “nelle scuole faranno ingresso gli imprenditori, le aziende che si siederanno nei consigli di autonomia, decidendo qualunque cosa: dalla didattica, all’adozione dei libri di testo, fino all’aumento delle tasse”, spiega il referente Unione degli studenti  Riccardo Russo".

Questo sarebbe il risultato del nuovo disegno di legge “Aprea 2” sulla cosiddetta scuola-azienda che, a detta degli studenti, ripresenta una proposta di legge del 2008 (la 953) già stoppata dal medesimo blocco studentesco. Ma gli scenari che prospetta il ragazzo hanno poco di fantascientifico: “Le aziende, i privati potrebbero decidere quale scuola finanziare, preferendo gli istituti tecnici ai licei, perché i primi danno un immediato sbocco lavorativo”. In base ad una pura logica strumentale che poco, o nulla, ha a che fare con il valore immateriale della cultura.

Accanto ai più giovani con il futuro che brilla negli occhi, ci sono gli universitari leccesi che condividono i punti salienti della protesta (no ai tagli, diritti uguali per tutti, autonomia delle scuole e finanziamento pubblico). E sollevano alcune problematiche specifiche, come la trasformazione delle borse di studio in prestiti d’onoreerogati dagli istituti di credito “che d’onore hanno ben poco, perché ci faranno indebitare già durante il nostro corso di studi”, precisa Massimiliano Gira del coordinamento Udu. Per non parlare dell’annoso conflitto sulle tasse: quella regionale Adisu, a carico degli studenti, “lievitata per coprire i tagli di risorse governative nel finanziamento di borse e servizi, come mense e residenze, che completano il diritto allo studio”. In Puglia, in particolare, la tassa è arrivata a costare 140 euro l’anno per tutti, indipendentemente dalla fascia di reddito: “In questo modo si ribalta il concetto dello Stato che mantiene in piedi l’istruzione pubblica. Ora ci pensano le nostre famiglie”, aggiunge Sara Ingrosso.

Ma la bufera sull’istruzione pubblica non risparmia neanche chi, nel sistema, ci lavora: docenti, personale Ata, dirigenti. Cgil Lecce in piazza Sant’Oronzo ha dedicato uno spazio anche a loro, chiamati a sostenere lo sciopero a causa delle troppe cose che non funzionano: “Classi sovraffollate, edifici insicuri, licenziamento di migliaia di persone, provvedimenti assurdi come quello relativo alla riconversione di docenti inidonei, l'aumento dei contributi a carico delle famiglie e il mancato trasferimento alle scuole dei fondi contrattuali che stanno gettando scompiglio”. Per non parlare del nuovo concorso, “inutile e costoso”, la nuova legge sulle pensioni ed il blocco dei contratti. Eppure, secondo il sindacato, “le proposte per migliorare un settore fondamentale per la società civile non mancano. Basterebbero un po’ di buon senso ed una robusta volontà politica”.

 

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