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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca Martano

Tagli alla gola di una neonata e feto nascosto in una valigia: madre condannata a 4 anni e 4 mesi

Emesso il verdetto sul macabro episodio avvenuto il 23 luglio del 2021 in un’abitazione a Martano. Cambia il reato principale: da tentato omicidio a tentato infanticidio in stato di abbandono morale e materiale

MARTANO - E’ arrivato il verdetto nella vicenda che vedeva al banco degli imputati per tentato omicidio e occultamento di cadavere una 35enne di Martano. 
Ieri, la prima sezione penale del tribunale di Lecce, presieduta dal giudice Fabrizio Malagnino, ha modificato il primo reato in quello di tentato infanticidio in stato di abbandono morale e materiale e le ha inflitto quattro anni e quattro mesi di reclusione, conteggiati con lo sconto di un terzo della pena in considerazione della scelta del rito abbreviato condizionato (concesso dopo un primo respingimento in sede di udienza preliminare).

Erano nove gli anni invocati dalla pubblica accusa, rappresentata dal sostituto procuratore  Alessandro Prontera, il magistrato che indagò con i carabinieri sul macabro episodio avvenuto la mattina del 23 luglio del 2021.
Stando a quanto emerso, la donna partorì da sola in casa, poi recise con un coltello la gola della piccola appena venuta al mondo, provocandole tre tagli, avvolse il suo corpicino in un asciugamano da mare e la abbandonò in giardino. Fu il pianto della neonata ad attirare l’attenzione del coniuge che allertò i soccorsi salvandole la vita. E con questa fu salvata anche quella della convivente ritrovata distesa sul pavimento in cucina in preda a una grave crisi emorragica.
Ma non finisce qui, perché quando il marito ritornò in casa (in seguito al dissequestro dell’immobile),  trovò sotto al letto della figlia, una valigetta con il corpo di un feto avvolto prima in stracci di cotone serrati alle estremità con un filo di ferro e poi in sacchi di plastica. 
Gli avvocati della difesa, Anna Elisa Prete e Giampaolo Potì, avevano puntato a minare l’attendibilità dell’uomo, innanzitutto perché è inverosimile che non si fosse accorto della convivente mentre partoriva, ma anche perché, nonostante due accurate perquisizioni svolte in casa dal personale dell’Arma, sarebbe stato l’unico ad accorgersi della borsa col feto che consegnò agli stessi militari un mese e mezzo dopo il ritrovamento. 
I legali avevano chiesto l’assoluzione per non aver commesso il fatto e in subordine il riconoscimento del vizio parziale di mente o la derubricazione del reato più grave in quello di lesioni gravi. Per la difesa,  il contesto conflittuale e di soprusi subiti tra le mure domestiche, riferiti dalla donna, avrebbe potuto influenzare le sue condotte, e questa possibilità non fu esclusa neppure dallo stesso consulente del tribunale, secondo cui l’imputata era comunque capace di intendere e di volere al momento del fatto e di stare in giudizio.
Non appena saranno depositate le motivazioni (entro sessanta giorni) la difesa valuterà il ricorso in appello della sentenza che ha riconosciuto anche il risarcimento del danno in separata sede al coniuge e alla neonata, rappresentati rispettivamente dall’avvocato Roberto Rella e dalla collega Daniela De Liguori, e l’immediata liquidazione alla piccola della somma di 50mila euro.  

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