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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca Taurisano

“A postu cu li scavi?” Un presunto sodalizio estorsivo in embrione

Interrogato, Lucio Stefano Cera, sarebbe entrato in contraddizione rispetto a quanto emerso nell'inchiesta. "Ho anticipato i soldi perché l'imprenditore riavesse la motopala". Forse nel nel basso Salento in ricostruzione un gruppo criminale

LECCE – “Stati a postu cu li scavi?”. Inizia così, questa storia, con una frase proferita in dialetto salentino (“siete a posto con gli scavi?)” non certo per chiedere se in regola con le autorizzazioni, ma per aprire la strada a quella che si rivelerà una vera e propria richiesta estorsiva. Inizia con una domanda, dunque, ma finisce con due arresti, quelli di Lucio Stefano Cera, 51enne e del cugino Andrea Cera, 42enne, entrambi di Taurisano. Arresti che il giudice per le indagini preliminari Giulia Proto ha convalidato, ritenendo che il primo, nome di spicco della Sacra corona unita (oltre vent’anni di carcere alle  spalle e una contiguità al potente clan Tornese riconosciuta da sentenze) debba restare in carcere e il secondo permanere ai domiciliari, sebbene senza braccialetto elettronico, come richiesto dal pubblico ministero.

Della vicenda, in cui vittima è un imprenditore che ha un appalto per un cantiere stradale sull’asse Presicce Acquarica-Lido Marini, si è accennato nei giorni scorsi, ma ora emergono altri particolari che sembrano essere prodromici a un’inchiesta in fase di sviluppo. Perché quella frase, “stati a postu cu li scavi?, non è stata proferita dai cugini Cera, ma da un terzo soggetto che un bel giorno si sarebbe presentato accompagnato da un altro uomo. Insomma, potrebbero essere sodali di un nome altisonante come quello di Lucio Stefano Cera, rientrato nel giro e pronto a riprendersi il controllo del territorio. E questo potrebbe significare l’esistenza di un gruppo in via di formazione, stroncato più o meno sul nascere dalla Squadra mobile di Lecce.  

La ricerca di un "accordo"

Risalgono al 16 novembre, gli arresti, dopo una trappola tesa dagli investigatori della polizia, in seguito ad alcuni episodi che si sono succeduti nell’arco di poco tempo.

Tutto ha avuto inizio quando l’imprenditore ha intuito che quella prima visita avesse un significato preciso, e cioè che i costosi mezzi da lavoro usati probabilmente non erano al sicuro e meglio sarebbe stato, per lui e i suoi affari assecondare qualche richiesta. Tanto da scattare una foto in cui sarebbe stato immortalato uno dei due soggetti presentatisi al cantiere. Poco tempo dopo, sarebbe comparso sulla scena Lucio Stefano Cera in persona, lasciando intendere di controllare tutto il territorio e chiedendogli di cancellare dal proprio smartphone la foto del suo “ragazzo”. Fino a provare a stilare un accordo: 2mila euro in cambio della tranquillità.

Ma l’accordo non sarebbe andato in porto e a quel punto, “guarda caso”, ecco qualche tempo dopo sparire dal cantiere una motopala del valore di 56mila euro. Nessun problema. Lucio Stefano Cera si sarebbe offerto di mediare perché l’imprenditore riottenesse il veicolo per movimento terra (poi fatto ritrovare nel Barese), per la cifra di 11mila euro. Ma dopo aver concordato prezzo e luogo, ecco comparire la polizia. Estorsione aggravata dal metodo mafioso è l’accusa principale per il 51enne, che risponde anche di detenzione ai fini di spaccio di stupefacenti, avendo addosso una busta di cellophane con 23,57 grammi di cocaina, e resistenza a pubblico ufficiale in concorso con il cugino Andrea Cera.

Quest’ultimo era alla guida della Fiat Multipla con cui il giorno dell’arresto i due si sono presentati al cantiere per la riscossione. Dopo lo scambio, ecco l’alt intimato dai poliziotti usciti allo scoperto, davanti  ai quali il 51enne avrebbe esortato il cugino a fuggire, urlando “vai, vai”. L’uscita, però, era stata precedentemente sbarrata con altre auto proprio in previsione di eventuali fughe e contro una di questa, una Fiat Panda, è andata a collidere la Multipla, riportando entrambi i veicoli evidenti danni.

Le versioni degli indagati

Difesi dall’avvocato David Alemanno, i cugini Cera hanno risposto ieri alle domande della giudice, fornendo le proprie versioni. Lucio Stefano Cera ha spiegato di aver conosciuto l’imprenditore per necessità di materiale edile, nello specifico tufo. Ha aggiunto di aver saputo che l’imprenditore aveva ricevuto disponibilità da un soggetto della zona di un luogo nei pressi del cantiere in cui custodire i mezzi meccanici e per questo aveva voluto parlagli di persona, proponendo, dopo aver ricevuto il tufo, un posto più sicuro. A dire di Cera, sarebbe stata l’azienda agricola dove egli stesso lavora. I mezzi, però, qui non sono mai stati portati.

Sempre stando alla versione di Cera, mentre questi era in Svizzera, dal 21 al 28 ottobre, sarebbe stato contattato da alcune persone che gli avrebbero riferito il fatto che l’imprenditore avesse subito il furto di un mezzo e che intendesse parlargli. Al rientro in Italia, l’incontro e, sempre secondo il 51enne, la richiesta se fosse in grado di recuperare la motopala. Ecco, allora, che Cera si sarebbe interessato alla faccenda, riuscendo a sapere tramite conoscenti dove fosse il veicolo e che fosse intenzione venderlo per 11mila euro, ma non portare avanti il metodo del cosiddetto “cavallo di ritorno”.

Cera avrebbe quindi versato i soldi di tasca propria, consegnandoli a un amico di cui non ha però fatto il nome, in modo che fungesse da intermediario per il mezzo meccanico. A quel punto, l’incontro nel cantiere per riavere gli 11mila euro che sostiene di aver anticipato, salvo spuntare la polizia. E, a proposito dell’accusa di resistenza, alla giudice ha detto di non aver urlato “vai, vai”, al cugino alla guida, ma “fermati, dove vai”,  aggiungendo di non essersi opposto nel momento in cui è stato ammanettato. Sulla droga, infine, ha spiegato che sarebbe stata per uso personale.

Sempre sulla fuga, il cugino Andrea Cera ha risposto durante l’interrogatorio di essere scappato per paura, non avendo capito di trovarsi di fronte a esponenti delle forze dell’ordine, una volta spuntati alcuni uomini dal nulla, aggiungendo che la frase “alt, polizia” sarebbe stata proferita mentre era già in movimento. Circa il motivo per cui avesse accompagnato il cugino sul cantiere, infine, ha aggiunto di non averne avuto alcuna idea. Ha solo spiegato di fargli da autista, visto che il parente sarebbe sprovvisto di patente.

La giudice non crede ai due

La giudice Pronto non ha però creduto in una sola parola dei due indagati. Nel caso specifico di Lucio Stefano Cera, la versione sarebbe, poi, in aperta contraddizione rispetto alle indagini, basate, fra le altre cose, anche su registrazioni in cui emergerebbero parole e situazioni inequivocabili.

Lucio Stefano Cera, insomma, avrebbe prima mandato in avanscoperta presunti sodali, poi si sarebbe presentato di persona con il pretesto del tufo, ma già con chiara l’idea di mettere in atto un’estorsione, concretizzatasi poi dopo il furto del veicolo. Per questo, la giudice ritiene necessarie le esigenze cautelari, nel caso del 51enne in virtù di quella che ritiene una spiccata pericolosità sociale, con il rischio di reiterazione di altri reati. Stessa cosa nel caso del cugino Andrea, vista la manovra messa in atto per la fuga, potenzialmente letale per i poliziotti. Peraltro, sarebbe stato sempre lui alla guida dell’auto, tutte le volte che  Lucio Stefano Cera ha fatto visita al cantiere.

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