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Cronaca

Traffici illeciti di rifiuti: colpo di scure sugli affari tra Enel, Cementir e Ilva

Sequestri per mezzo miliardo di euro e 31 indagati dalla procura leccese per i tre stabilimenti di Brindisi e Taranto: costi ammortizzati con ceneri contaminate

LECCE – Trentuno indagati per traffico illecito di rifiuti e attività di gestione di rifiuti non autorizzata, per tre colossi industriali i cui affari s’intrecciano: da un lato la centrale  termoelettrica “Federico II” di Enel Produzione, a Cerano, nei pressi di Brindisi; dall’altro gli stabilimento Cementir e Ilva di Taranto. Con sequestri per equivalente che superano, in valore, il mezzo miliardo di euro.

Dietro a tutto, una vasta indagine del Nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Taranto. Le fiamme gialle hanno eseguito un decreto che dispone il sequestro preventivo della centrale termoelettrica “Federico II”, degli stabilimenti tarantini della Cementir Italia Spa e dei parchi “loppa d’altoforno, nastri trasportatori e tramogge” sia di quest’ultimo stabilimento, sia del polo siderurgico Ilva.

Il provvedimento è stato disposto dal gip del tribunale di Lecce, su richiesta della Dda di Lecce, alla quale è stato applicato anche un magistrato tarantino.

Video: operazione Araba Fenice

“Araba Fenice” è stata ribattezzata l’operazione, nata da una attività della guardia di finanza e conclusasi con un sequestro  penale,  eseguito cinque  anni  or sono,  di  due  aree  dello stabilimento Cementir Italia Spa di Taranto, adibite a discarica di rifiuti industriali, secondo gli inquirenti in modo illecito. Gran sarebbero stato originati dall’adiacente stabilimento Ilva.

I successivi approfondimenti, anche tramite intercettazioni telefoniche e telematiche, sarebbero stati corroborati dagli esiti di una perizia tecnica e dai risultati di analisi chimiche. Ebbene, le materie prime utilizzate da Cementir per la produzione di cemento e acquistate dall’Ilva e dallo stabilimento Enel di Cerano non sarebbero conformi agli standard richiesti dalle normative vigenti.

Scarti e rifiuti eterogenei

La loppa d’altoforno, venduta dall’Ilva alla Cementir, avrebbe criticità connesse alla commistione con scarti e rifiuti eterogenei (scaglie di ghisa, materiale lapideo, profilati ferrosi, pietrisco e loppa di sopravaglio) che ne inficerebbero la capacità di impiego allo stato tal quale nell’ambito del ciclo produttivo del cemento.

Per la presenza di tali materiali estranei, la loppa, per essere usata nel processo produttivo del cemento, avrebbe necessitato di operazioni non previste nella cosiddetta “normale pratica industriale”, quali la “vagliatura” (finalizzata alla rimozione dei rifiuti eterogenei e dei frammenti di dimensioni più consistenti), la “deferrizzazione” (finalizzata alla rimozione dei residui metallici- profilati di ferro , crostoni nonché gocce, polveri e frammenti  di ghisa, chiamata “ghisetta”) che sarebbero state effettuate, parzialmente  e in maniera insufficiente, sia dal produttore, sia dal destinatario (Cementir), quest’ultimo in assenza di specifiche autorizzazioni Aia al trattamento della specifica tipologia di rifiuto.

Non sottoprodotti, ma rifiuti

Per queste criticità, la loppa prodotta e commercializzata da Ilva dovrebbe essere esclusa dal novero dei sottoprodotti e inserita in quella dei rifiuti (genererebbe polveri, particolato e percolato). Accertate le presunte violazioni nella produzione del cemento, gli inquirenti hanno focalizzato l’attenzione sui quantitativi di ceneri leggere (“volanti”) che Cementir Italia ha acquistato dallo stabilimento di Cerano di Enel Produzione. Secondo i finanzieri, la società di produzione di energia elettrica avrebbe classificato le ceneri come provenienti tutte dalla sola combustione di carbone, e classificate come “rifiuto speciale non pericoloso”.

In realtà, secondo gli inquirenti, il produttore avrebbe impiegato, nel proprio ciclo, combustibili (Ocd e gasolio), generando ceneri contaminate da sostanze pericolose derivanti sia dall’impiego di combustibili diversi dal carbone, sia dai processi di denitrificazione a base di ammoniaca.

La gestione promiscua delle diverse tipologie di ceneri da parte di Enel si sarebbe così tradotta in un oggettivo vantaggio patrimoniale. Vale a dire, un risparmio dei costi correlati alla separazione e al corretto smaltimento di quei rifiuti, quantificati in circa 2 milioni e 553 mila tonnellate.

Commercializzazione per smaltire in economia

La successiva commercializzazione avrebbe rappresentato per Enel un espediente dietro al quale si sarebbe celato l’intento di reperire un canale di smaltimento di questi rifiuti, alternativo e più economico rispetto a quelli conformi alla normativa. Una condotta per gli investigatori particolarmente, visto che presso la centrale sono presenti impianti che avrebbero consentito lo stoccaggio e la separazione delle ceneri e che tuttavia non sarebbero mai stati utilizzati.

Enel, dunque, avrebbe dovuto sostenere costi esponenzialmente più elevati per avviare verso lo smaltimento le proprie ceneri presso siti autorizzati a trattarli in conformità alla loro reale natura di rifiuti pericolosi, anziché classificarli come rifiuti non pericolosi.

Per gli investigatori, alcuni fra gli indagati, in posizione dirigenziale, sarebbero stati a conoscenza del fatto che le ceneri fossero pericolose, aspetto che emerge anche dall’ascolto di  alcune conversazioni telefoniche in cui si farebbe riferimento alla necessità di confondere gli inquirenti presentando dati alterati e non veritieri e, di evitare di comunicare con l’Arpa.

Di fatto, una voce di costo aziendale legata allo smaltimento di rifiuti, si sarebbe così trasformata in una fonte di introiti per Enel, rappresentata dal prezzo corrisposto da Cementir per la somministrazione delle ceneri.

Le disposizioni del giudice

Il Nucleo di polizia tributaria di Taranto sta procedendo in queste ore, anche per valore equivalente, al sequestro dei saldi attivi di conti correnti, delle quote o delle partecipazioni azionarie, dei depositi, titoli, crediti, dei beni mobili registrati ed immobili del profitto degli illeciti contestati a Enel Produzione, quantificato in 523 milioni e  326 mila euro, riferiti al periodo che volge dal settembre 2011 al settembre 2016.

Nel decreto il gip ha disposto la  provvisoria  facoltà  d’uso  alle  società  degli stabilimenti,  per  un termine non superiore a 60 giorni. Nel caso della centrale termoelettrica “Federico II” di Enel Produzione, subordinata all’utilizzo delle infrastrutture dedicate per la separata evacuazione delle ceneri derivanti dai differenti processi di combustione e all’invio, per lo smaltimento presso impianti autorizzati al trattamento di rifiuti pericolosi, di tutte le ceneri.

In quello della Cementir Italia Spa, subordinata all’obbligo di cessare l’approvvigionamento di ceneri dalla centrale termoelettrica Enel di Brindisi e di impiegare, nel proprio ciclo produttivo del cemento, solo ceneri leggere conformi alla normativa vigente.

Nel caso dei parchi loppa con i materiali stoccati, dei nastri trasportatori e delle tramogge di pertinenza dello stabilimento siderurgico Ilva di Taranto, la facoltà d’uso è subordinata all’ordine di procedere alla gestione della loppa come rifiuto secondo gli  obblighi previsti dalla normativa in materia ambientale.

Enel: "Dimostreremo la nostra correttezza"

Enel Produzione ha spiegato in una breve nota il suo punto di vista, spiegando che “i provvedimenti relativi alla centrale di Enel Produzione riguardano l'uso delle ceneri nell'ambito di processi produttivi secondari”, dicendosi convinta “che nel corso delle indagini potrà dimostrare la correttezza dei propri processi produttivi” e spiegando che “presterà ogni utile collaborazione alle autorità inquirenti”. “Il provvedimento di sequestro – ha inoltre sottolineato il gruppo - non pregiudica la corretta operatività della centrale, nel rispetto di prescrizioni coerenti con il modello operativo di Enel Produzione”. 

La politica: "Fare subito chiarezza"

Intanto, è iniziato il tourbillon delle dichiarazioni. Il consigliere regionale del MoVimento 5 Stelle Gianluca Bozzetti rimarca la gravità dei capi d’accusa. “Ipotesi – dice - che se confermate spiegherebbero ampiamente anche i catastrofici dati epidemiologici dell’area resi noti solo qualche mese fa. Vorremmo anche capire chi avrebbe dovuto controllare e perché tali controlli non sono stati fatti”. 

“Speriamo inoltre - continua il consigliere brindisino - che tutta questa vicenda possa servire ad evidenziare ancora una volta la necessità di programmare immediatamente la chiusura, la dismissione e la bonifica di questa centrale, avviando un processo di riconversione economica e culturale dell’intera area di Cerano”, “che tuteli gli attuali livelli occupazionali” e “teso ad abbandonare definitivamente le fonti fossili per promuovere una politica energetica basata sulle rinnovabili.” 

Il senatore di Direzione Italia, Vittorio Zizza chiede che “si faccia al più presto chiarezza” e aggiunge: “La stessa Commissione ambiente del Senato, che mi pregio di presiedere, non ha mai distolto l’attenzione dalle attività della centrale Enel Federico II e dall’impatto che queste hanno sul territorio. Ora – conclude - confidiamo nella magistratura e nel corso della giustizia”. 

A prendere parola è poi un altro consigliere regionale pentastellato, Marco Galante: “Se questa reiterata mancanza di rispetto delle normative fosse confermata, sarebbe necessario spiegare ai cittadini che ad aziende come Enel, Ilva o Cementir non bastava fatturare fiumi di denaro con attività che già nel corso del loro normale ciclo produttivo, inquinano e danneggiano il territorio; per queste aziende diventava in qualche modo necessario anche eludere le normative sullo smaltimento dei rifiuti anche se questo poteva significare mettere in pericolo di vita altri esseri umani”. 

Gli ambientalisti: "Basta con il carbone"

Francesco Tarantini e Nicola Anelli, rispettivamente presidente di Legambiente Puglia e del circolo Legambiente di Brindisi, trovano “sconcertante apprendere che tre poli industriali pugliesi riconducibili a Enel, Cementir e Ilva siano al centro di un traffico illecito di rifiuti”. E ricorcano: “Oltre trent’anni fa le nostre denunce portarono al blocco dello smaltimento delle ceneri della centrale Brindisi Nord in una discarica della Contrada Brindisina ‘Formica9 e, quindi, del trasporto verso discariche venete e campane”. 

“In seguito – aggiungono -, pur approfittando delle maglie larghe offerte dalla nuova classificazione delle ceneri quale rifiuto speciale, malgrado le concentrazioni di metalli pesanti e cancerogeni come nichel e vanadio, Enel più volte è stata ‘attenzionata’ dalle autorità giudiziarie e la stessa Cementir ha ricevuto ‘eguali attenzioni’ per la miscelazione di cemento e ceneri, fino al provvedimento giudiziario del 2011”. Conclusione: “Per quanto Enel sostenga che ad essere interessato sia solo un processo produttivo secondario, siamo di fronte, invece, alla sistematica ripetizione di comportamenti sulla cui gravità l’autorità giudiziaria è già intervenuta”.

L’associazione chiede in ultimo di verificare se vi siano le condizioni per l’applicazione della nuova legge sugli ecoreati e annuncia che, in caso di procedimento penale formalizzato, si costituirà parte civile.  

Per il Wwf nazionale la vicenda è “solo l’ultima prova di quanto le centrali termoelettriche a carbone possano danneggiare il territorio, la salute delle persone e il clima”. “Una centrale come Cerano- spiega -, che brucia almeno 6 milioni di tonnellate anno di carbone, produce oltre 600mila tonnellate di ceneri da smaltire ogni anno.  A queste si sommano diverse migliaia di tonnellate di fanghi inquinato derivati dai diversi trattamenti delle acque usate dall’impianto (milioni di metri cubi all’anno)”.

“Sulle ceneri, oggetto del provvedimento di sequestro, esistono studi scientifici che evidenziano la loro potenziale pericolosità anche quando vengono smaltite in discarica perché producono percolato con caratteristiche genotossiche e mutagene. Anche quando le ceneri sono impiegate nella preparazione del cemento – aggiunge il Wwf -,esistono rischi assolutamente sottovalutati perché questi rifiuti derivati dalla combustione contengono un’ampia gamma di metalli pesanti tossici e possono rilasciare emissioni radioattive, come evidenzia anche un importante studio scientifico del 2007”. L’auspicio? “Che tutte le centrali a carbone vengano chiuse entro il 2025”.
 

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