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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca

Omicidio Padovano, scontro tra la parti sulle dichiarazioni del collaboratore

Le parole di Giuseppe Barba su un presunto voto di scambio hanno scatenato la reazione del collegio difensivo. Dell'uccisione di "Nino Bomba", avvenuta nel 2008, rispondono in sei, tra cui il fratello Rosario Pompeo

LECCE – E’ stata un’udienza carica di tensione e scontri verbali quella che si è tenuta oggi, nell’aula bunker di Borgo San Nicola, dinanzi ai giudici della Corte d'Assise di Lecce, dove si sta celebrando processo per l’omicidio del boss della Sacra corona unita Salvatore Padovano, avvenuto il 6 settembre del 2008 a Gallipoli, nei pressi della pescheria “Il Paradiso del Mare”.

Un processo che vede come imputati Rosario Pompeo Padovano, fratello di Salvatore; Giuseppe Barba; Cosimo Cavalera; Fabio Della Ducata; Massimiliano Scialpi e Giorgio Pianoforte. Carmelo Mendolia, collaboratore di giustizia, ha scelto invece il giudizio abbreviato ed è stato condannato a 14 anni di reclusione. Le indagini sulla morte di “Nino Bomba” hanno permesso di far luce anche sull'omicidio di Carmine Greco, risalente al lontano 13 agosto 1990. Un delitto avvenuto nell’ambito della gestione del traffico di sostanze stupefacenti. Greco avrebbe “spacciato ingenti quantitativi di droga sul territorio di Gallipoli da “cane sciolto”, senza rendere conto della sua attività all’organizzazione”. Anche in questo caso Rosario Padovano sarebbe il mandante, Mendolia l'esecutore materiale.

A darsi battaglia a suon di contestazioni e schermaglie verbali, sono stati gli avvocati difensori e la pubblica accusa. In particolare, a scatenare la reazione del collegio difensivo sono state alcune dichiarazioni di Giuseppe Barba, neo e presunto collaboratore di giustizia, ascoltato oggi in aula. In particolare, a scatenare il caso in aula sono state alcune affermazioni di Barba sull’elezioni amministrative del 2006 a Gallipoli. L’imputato, infatti, ha affermato di aver ricevuto, in quella tornata elettorale, indicazioni da Rosario Padovano per far convergere i voti sull’avvocato Flavio Fasano. Dichiarazioni in netto contrasto con quanto dichiarato dallo stesso Barba in un altro processo in cui era imputato per estorsione: “Non c’è stata alcuna estorsione, con Emanuele Piccinno avevamo pattuito una somma di cinquemila 5mila euro per il voto di scambio a Gallipoli delle amministrative del 2006. Duemila e cinquecento me li doveva consegnare a fine legislatura”.

Il collaboratore aveva, nello specifico, fatto i nomi dell’onorevole Vincenzo Barba e del consigliere comunale Giovanni De Marini. In quelle elezioni proprio Vincenzo Barba superò l’avvocato Flavio Fasano per circa 600 voti. L’avvocato Fasano è stato tirato in ballo anche per altre vicende legate al periodo in cui era difensore di Rosario Padovano. Accuse apparse oltre che prive di fondamento anche piuttosto artefatte. Dichiarazioni che hanno fatto scoppiare il caos in aula, tanto da spingere il presidente Tanisi a interrompere l’udienza e aggiornarla al prossimo 14 febbraio, anche per dar modo alla difesa di acquisire i verbali d’interrogatorio di Barba. Le indagini, coordinate dal sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Lecce, Elsa Valeria Mignone, hanno ricostruito scenari e moventi in cui l’omicidio avrebbe avuto origine.

Un delitto di mafia scaturito dai contrasti sorti tra i Padovano all’indomani della loro scarcerazione. In quest’ottica, secondo la ricostruzione accusatoria, sarebbe scaturita la volontà di Rosario Padovano, in qualità di mandante, di far uccidere Salvatore, alias “Nino bomba”. Esecutore materiale, Mendolia, collaboratore di giustizia e già autoaccusatosi dell’omicidio. Della Ducata gli avrebbe fornito ospitalità a Gallipoli, presso la propria abitazione, e gli avrebbe consegnato, pochi giorni dopo l’omicidio (a Casamassima, in provincia di Bari), una parte dei 10mila euro di compenso pattuito, pari a 6.770 euro. Pianoforte, cugino dei Padovano, avrebbe chiamato Salvatore fuori dalla pescheria di famiglia “dicendogli che una persona gli aveva tamponato la macchina”. In realtà, ad attenderlo vi era Mendolia che l'avrebbe freddato con quattro colpi sparati con una pistola “Beretta modello 83 F”.

Diversa la versione fornita da Salvatore Padovano, reo confesso dell’omicidio, per cui si sarebbe trattato soltanto di “una vicenda familiare”, in cui lui è stato il mandante e Mendolia l’esecutore materiale.

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